Grande distribuzione. Quanti sono, che cosa fanno e quanto guadagnano i dipendenti degli ipermercati.

I nuovi schiavi dietro gli scaffali.

Stipendi da fame, solo 7 su 100 lavorano a tempo pieno.

Cagliari -

 

 

 

 

«Il difetto della grande distribuzione? Non esiste la stabilità: la maggior parte dei dipendenti hanno contratti precari. Il 28 per cento degli organici è costituito da lavoratori atipici: tirocinanti o interinali».
Fannulloni e lavativi? Qualcuno, forse. Certo c'è altro dietro lo scontro tra l'azienda ed i dipendenti dell'ipermercato di Carrefour. L'ultimo di una serie di conflitti tra le imprese e una generazione di lavoratori che fatica a tollerare l'emorragia di diritti.


Lavorare nella grande distribuzione significa guadagnare tra i 630 e i 1.200 euro al mese e non conoscere domeniche, pasquette, ponti dell'Immacolata. Orari massacranti, ferie brevissime e alla minima incomprensione si rischia il trasferimento, il più delle volte in una filiale di provincia. Una vita sul filo, dove il nemico più insidioso si chiama precariato. Secondo i sindacati il 65 per cento dei lavoratori ha contratti part time, il 28 per cento è un "lavoratore atipico" (tirocinante o interinale), il rimanente 7 per cento ha un'assunzione a tempo pieno.

Carlo Serra, oltre a rappresentare la Flaica CUB (sindacato di categoria in netta ascesa) è un prodotto emblematico dei difetti del sistema: 41 anni, lavoratore part time in una grossa catena di ipermercati, vive a casa dei genitori per necessità e non per scelta di comodo. Dopo 13 anni di anzianità il suo stipendio si è impantanato sui 700 euro mensili: questo significa guardare la soglia della povertà senza bisogno dei binocoli ed essere incapaci di metter su famiglia. Nonostante tutto, Serra è un tipo tosto: due anni fa si avventurò in uno sciopero della fame che lo portò dritto in ospedale, mentre adesso non esita a denunciare i casi di mobbing e le pesanti vessazioni che subiscono i suoi colleghi. Un sindacalista vecchio stampo.

«Il difetto della grande distribuzione? Non esiste la stabilità: la maggior parte delle persone che ci lavorano hanno contratti precari. Il 28 per cento degli organici è costituito da lavoratori atipici: tirocinanti o interinali che percepiscono la metà del nostro stipendio (3-400 euro) e svolgono le nostre stesse funzioni. Uno sfruttamento». Se dopo 13 anni di anzianità lui e tanti altri si trovano ancora in queste condizioni, la colpa è innanzitutto della legge Biagi: «Ha cancellato il diritto di precedenza dei lavoratori part time nelle assunzioni a tempo pieno. Le aziende decidono ancora più liberamente chi assumere e molti impiegati vengono scavalcati, spesso da persone senza esperienza».


Ma l'ultima novità è il cambio forzato degli orari di lavoro. Esempio: se nel contratto c'è scritto 8-14 l'azienda ti obbliga a ricoprire il turno pomeridiano. Se non accetti, arrivano i guai: nella maggior parte dei casi basta minacciare un trasferimento per piegare le resistenze più ferree, anche se non mancano i casi di ricorso al giudice del lavoro. Che - per inciso - dà spesso ragione al dipendente. «Molte lavoratrici part time sono delle madri di famiglia - continua Serra -, che hanno esigenze particolari, come l'allattamento dei propri figli. È ovvio che non possano cambiare gli orari di settimana in settimana o di giorno in giorno».

Ma tra casse e scontrini chi se la passa peggio sono i dipendenti dei discount: organici all'osso (cinque dipendenti per supermercato) mansioni miste (il direttore fa anche il magazziniere, lavora alla cassa e pulisce per terra) e contratti da 40 ore settimanali che spesso vengono dilatate a 60, senza straordinari o altri benefit. Ecco cosa c'è dietro mozzarelle low cost e detersivi super scontati.

di MICHELE RUFFI

L'UNIONE SARDA