Mercoledì 7 novembre il movimento che si definisce "consulta rivoluzionaria" darà vita ad una "grande giornata di protesta" che si concretizzerà in un sit prolungato sotto il consiglio regionale di Via Roma a Cagliari.

Cagliari -

 

 

Cosa è la consulta rivoluzionaria? Essa è una variopinta e variegata aggregazione di movimenti e istanze di lotta e rivendicazioni che sono maturate in questo ultimo periodo in  Sardegna. Si va dal movimento dei pastori sardi, alle partite IVA contro i metodi di riscossione di Equitalia, fino ad arrivare a partiti e movimenti indipendentisti anch’essi molto variegati, a partire da quelli interclassisti (IRS, e SNI) fino ad arrivare ad A Manca (Movimento che si propone la creazione del Partito dei lavoratori comunisti sardi). La CSS (confederazione sindacale sarda) ha proclamato, per quel giorno una giornata di sciopero generale. Ma… a proposito, non è la stessa CSS che abbiamo visto sempre a rimorchio di CGIL, CISL e UIL in tutte le manifestazioni indette dai confederali?

  

 

La denominazione, un pò pomposa per la verità, sembra sia stata mutuata da esperienze veramente rivoluzionarie del sud e centro America ma con una pecca d’origine: lì le consulte avevano il compito di consultare le popolazioni per saggiare i loro bisogni, le loro aspettative e proporre dopo le soluzioni d’insieme, qui, invece, sembra si sia partiti dalla fine e si è così indetta questa giornata per “delegittimare il consiglio regionale e la giunta e chiederne le immediate dimissioni per andare a nuove elezioni”.

 

Crediamo che la Giunta e il consiglio nella sua stragrande maggioranza sia di per sé abbastanza delegittimato agli occhi degli elettori sardi che non ci sia bisogno di una giornata di mobilitazione per renderlo palese, la delegittimazione sta nei numeri dei disoccupati, sottoccupati, cassintegrati, nel cimitero di fabbriche, nella crisi dell’agricoltura e del commercio, nel numero di nuovi emigrati di giovani sardi,  nei paesi dell’interno che si spopolano sempre di più, nella chiusura di scuole, presidi ospedalieri, e servizi. Questo basta ed avanza ai sardi per sentire la classe politica (nella sua stragrande maggioranza, come un corpo avulso dalla società. Una casta! ) ed allora credo che la domanda che il movimento porta avanti sia un’altra: fate posto, signori che al vostro posto vogliamo entrarci noi. Noi che rappresentiamo le istanze del popolo sardo!    

 

Una richiesta che potrebbe sembrare rivoluzionaria ma che nasconde del tatticismo e del pressapochismo.” I leader rivoluzionari”  non dicono, infatti, e non potrebbero neppure dirlo visto che non rappresentano un blocco sociale se per tale non si vuole intendere un generico “popolo sardo”. Con quale programma governerebbero, tranne una ipotetica ( e non sposata da tutti) “zona franca” “Una zona franca che darebbe benessere ai sardi” e non si capisce a “quali categorie di sardi si sottintende.

 

 

A nostro modo di vedere un programma non c’è perché non puo’ esserci: troppo grandi sono le differenze fra i singoli movimenti e partiti, abissali le distanze fra chi combatte per la proroga della “propria” cassa integrazione e chi pensa che lo stato debba aiutare i “ceti produttivi”, fra chi combatte per l’art. 18 e chi pensa sia giusto poter sfruttare il servo pastore rumeno o macedone, chi pensa che i posti di lavoro vadano mantenuti ad ogni costo e chi invece pensa ad un tipo di industria diversa da quella che è esistita e che sta per esser seppellita.

  

 

Sostanzialmente divergente anche la visione della Sardegna che si vagheggia: C’è chi la vuole confederata con l’Italia, altri la vogliono confederata con l’Europa, e chi la sogna indipendente mentre altri pensano che un sano autonomismo potrebbe anche starci.

 

 

E in questo marasma non è difficile capire che sarà facile per qualche vecchio marpione della politica potercisi inserire e dettare la linea giocando su un generico proto sardismo magari in salsa leghista, e negli ultimi tempi ci è toccato assistere alle contorsioni dei vari Pili, Manichedda ecc.. in questo senso. Ecco perché avremmo voluto che la “consulta” si fosse dotata di uno o due punti fondamentali: 1) come rendere la Sardegna autosufficiente in fatto di energia e generi alimentari.

 

Perché se è vero che la Sardegna ha una capacità produttiva di energia per il 130% del suo fabbisogno non si capisce perché si debba pensare ad un nuovo approvvigionamento tipo il GALSI, e si deve continuare a seminare di pale eoliche il territorio sardo. E qui i casi sono due o ci raccontano balle o gli interessi sono altri e noi vorremmo capire se e quali sono le ricadute economiche durature per la Sardegna. Che non siano le solite chimere di territorio irrimediabilmente devastato e poi desertificato con effimere ricadute solo contingenti ai lavori per il passaggio del “tubo”. E su questi punti la consulta preferisce glissare parlando genericamente di “autosufficienza energetica”.

  

 

 

Lo stesso dicasi per l’approvvigionamento alimentare: non basta dire che bisogna boicottare la grande distribuzione e preferire la piccola perché gestita da sardi se poi in questi piccoli negozi troviamo merce che proviene da oltre Tirreno esattamente e forse più che nei negozi della grande distribuzione, visto che solo l’80% dei prodotti alimentari sono provenienti da “fuori”.  

La domanda che dovrebbe essere posta dovrebbe essere  quella di una agricoltura sana, prodotta in loco ma non di nicchia, con conseguente industrie di trasformazione del prodotto stesso. Ma per enunciare questi principi semplici e perfino basilari si dovrebbe dire che la si vuole far finita con un certo tipo di agricoltura e pastorizia assistita ed etero diretta. Con finanziamenti a pioggia per colture che nulla hanno a che fare con la domanda di consumo autoctono. Ed allora la lotta dovrebbe essere indirizzata ANCHE verso le industrie casearie che facendo cartello riescono a tenere il prezzo del latte più basso rispetto a 20 anni fa. Verso le multinazionali dell’agroalimentare che impediscono la perfetta tracciabilità dei prodotti, verso il sistema creditizio che pratica tassi di usura e non tiene conto della specificità degli investimenti. E non solo verso una classe politica inetta e in qualche caso  collusa con questi poteri.

  

  

  

E malgrado questi limiti pensiamo che questo movimento vada seguito con simpatia ed attenzione. Notiamo che questo movimento individua nel governo Monti e soprattutto nel governo sovranazionale delle grandi banche e della BCE il boia che metterà fine alla loro esistenza come imprenditori e in qualche caso come salariati, e sbaglia a non individuare in alcuni esponenti della classe dirigente isolana (pochi in realtà) degli alleati probabili, la risposta non è e non può essere “largo al nuovo”, e ciò malgrado se non vogliamo che il movimento si trasformi in una protolega in salsa sarda allora vale la pena cercare dei mezzi con cui interloquire con loro.