A CHI SERVE LA CRISI?

Cagliari -

 

CRISI! Questa sembra essere stata la parola più usata (ed abusata) negli ultimi anni in Europa e per quel che ci riguarda più da vicino in Italia.

Non passa giorno, non si riesce ad ascoltare un tele o radiogiornale, o sfogliare un giornale senza sentir profferire questa terribile parola e a pronunziarla è il politico di turno, il presidente della confindustria, o di qualche associazione di datori di lavoro, e la pronunziano in modo ora solenne e ora lugubre per comunicarci che essa (la crisi) è la più grave degli ultimi anni, anzi ancor più grave di quella del 1929, Ma...e questo lo dicono con tono di ilare ottimismo ci preannunziano che “siamo alla fine della crisi”, anzi no, vediamo la luce dal tunnel in cui ci eravamo cacciati, che la ripresa è a portata di mano e serve un ultimo ulteriore sforzo per agganciarla” e questi annunci accompagnati da dati macroecomici da brivido e da terribili ed incomprensibili parole pronunziate il più delle volte in inglese sembrano siano dette un po’ per acquietarci, un po’ per finire col confonderci.

Noi che, in quanto lavoratori dipendenti , pensionati, disoccupati, precari o inoccupati, con le crisi siamo abituati a conviverci da sempre, pensiamo di avere degli indicatori della crisi e della sua gravità differenti da quelli che i trombettieri del “re” vorrebbero propinarci. Continuiamo a pensare che non è vero che siamo “tutti sulla stessa barca”, perché sulla “stessa barca non basta esserci per esser uguali poiché la differenza (e fondamentale) la fanno le mansioni che “sulla barca” si devono svolgere; e noi siamo stati e siamo coloro che hanno dovuto remare mentre “gli altri” si godevano il sole sdraiati a pancia in su che tradotto vuol dire mentre una massa sterminata di lavoratori, pensionati, precari ecc.. si devono arrabattare fra blocco dei contratti, cassa integrazione, lavori precari privi di diritti e dignità, aumento di tasse balzelli vari altri “pochi” si sono potuti permettere , e lo fanno ancora malgrado e grazie alla crisi di esportare vagonate di capitali all’estero grazie ad evasione contributiva e fiscale e extraprofitti frutto di super sfruttamento. Avevamo notato la gravità della crisi dalla frustrazione che ha pervaso sempre più larghi strati sociali, dal successo elettorale di movimenti e partiti la cui unica missione sembra essere quella della protesta, e la via d'uscita quella del vicolo cieco. L'avevamo notato dal proliferare nelle nostre città di persone dedite all'accattonaggio, dai carrelli semivuoti che escono dai supermercati, così come dal sempre più grande disinteresse verso la “politica” da parte di sempre più larghe fasce di popolazione che si concretizza nell'astensione elettorale, e l'avevamo notata dal clima da basso impero con cui si comporta il nostro ceto politico: cercano di arraffare tutto ciò che gli è possibile scaricando i costi su di noi. Tutto hanno cercato di scaricarci addosso perfino l'acquisto di un paio di mutande verdi!

A corroborare, adesso, quelle che erano le nostre percezioni di ciò che questa crisi significa ci ha pensato da vicino Save the Children che in un suo rapporto "L'Italia Sottosopra". Scrive: Un milione e 344 mila in condizioni di disagio abitativo; 650.000 in Comuni in default o sull'orlo del fallimento; 138 euro al mese il taglio dei consumi nelle famiglie con bambini; 11 euro il budget familiare mensile per libri e scuola e 23 euro per tempo libero, cultura e giochi. E ancora “Una tenaglia di povertà e deprivazione, che giorno dopo giorno stringe ai fianchi sempre più bambini e adolescenti, costringendoli a vivere un presente con pochissimo "ossigeno": cibo al discount, pochi o nessun libro, scuola solo la mattina senza neanche un'ora in più per attività di svago e socializzazione, e poi a casa, in uno spazio piccolo e soffocante, nient'altro da fare nel tempo libero perché non ci sono soldi e gli aiuti che arrivano dai servizi sociali se ci sono, sono pochi, perché il Comune è in default. E prosegue: Sono oltre 1 milione i minori che vivono in povertà assoluta, il 30% in più nel 2012, pari a 1 minore su 10, 1 milione e 344 mila vivono in condizioni di disagio abitativo; 650.000 in comuni in default o sull'orlo del fallimento.

Mentre editorialisti di grandi giornali, economisti un tanto al kilo, politicanti da strapazzo sempre proni ai diktat dei banchieri e della Troika ci dicono un giorno sì e l'altro pure che la spesa pubblica è insopportabilmente alta e, quindi, bisogna tagliare sul “welfare”, che gli stipendi e le pensioni rendono la “nostra” economia non concorrenziale e quindi bisogna abbassarli, lo stesso rapporto prosegue: che“ oltre 650 mila minori vivono in comuni completamente falliti (72) o sull'orlo della bancarotta (52). Amministrazioni costrette ad alzare al massimo le tasse per le prestazioni fondamentali o anche a ridurre alcuni servizi cruciali, come si evince dal calo (-0,5%) - per la prima volta dal 2004 - di bambini iscritti agli asili comunali nel 2011-2012. Tra il 2017 e il 2012, la spesa media mensile dei nuclei con bambini si è ridotta di 138 euro (pari al 4,6%). Sono numeri e cifre da “economia di guerra”, una guerra asimmetrica vista la disparità delle forze in campo e non dichiarata, quella che il grande capitale, le banche e i poteri forti con l'appoggio della stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento, e dei sindacati collaborativi conducono contro le masse popolari e finiranno per vincerla se queste non prenderanno coscienza per organizzare il conflitto per chiedere un'inversione radicale di tendenza.

Noi continuiamo a credere che le manovre antidepressive dettateci dalla troika e tradotte in atti come il fiscal pact, il pareggio in bilancio ecc.. servano solo a fare aumentare questo stato di malessere che i dati fornitici da Save the Children in mancanza di una decisa inversione di rotta siano destinati ad aumentare poiché aumenteranno le disparità facendo sì che la ricchezza si concentri sempre più nelle mani di sempre più pochi. Ecco perchè chiediamo di “rovesciare il tavolo” perchè chiediamo politiche di distribuzione equa del reddito, politiche sociali di investimento sulla scuola, nella manutenzione del territorio perchè non vogliamo aspettare la pioggia per piangere le vittime delle alluvioni, né che crollino i soffitti delle scuole per fare la manutenzione ordinaria una politica che investa nella prevenzione della salute e che sappia dare risposte ai crescenti bisogni delle persone bisognose di cure. Un nuovo welfare, insomma. Un welfare che serve alle persone e non ai politici di turno per crearsi clientele. Chiediamo che si investa nella scuola e nell'istruzione perchè pensiamo che questo sia il modo migliore per rimanere concorrenziali su scala internazionale e non rincorrendo i bassi salari e le pessime condizioni di lavoro di altre. Rovesciare il tavolo, per pensare ad uno sviluppo diverso dove tutti possano prenderne parte e trarne benefici.