Agenzie Fiscali - Quando tutti gli indagati "per caso" per gli indebiti accessi all'anagrafe saranno prosciolti?
Circa un anno fa un incredibile attacco mediatico ha visto coinvolti oltre cento dipendenti dell’Agenzia delle Entrate. Le loro case sono state rivoltate come un calzino: i corpi speciali antiterrorismo della Guardia di Finanza cercavano chi aveva fornito ad un giornale i dati relativi ai conti bancari di Prodi e all’identità dell’ufficiale rogante di un atto da lui stipulato.
Sarebbe bastato che i vertici dell’Agenzia avessero detto una PRIMA VERITA’: quelle informazioni non erano contenute nella banca dati “Anagrafe Tributaria” e nessuno dei colleghi ne poteva disporre. La bagarre forse non sarebbe neppure scoppiata. Per fortuna i magistrati di Milano si sono subito resi conto dell’estraneità ai fatti dei dipendenti dell’Agenzia e hanno rinviato le loro posizioni alle varie procure competenti in base al domicilio fiscale dei colleghi.
Molte posizioni sono state già archiviate, ma ancora oggi, per gli stessi fatti per cui dei giudici hanno archiviato, altri hanno deciso di rinviare a giudizio. Così alcuni colleghi, senza aver fatto niente di diverso dagli altri più fortunati, continuano a vivere un incubo.
Ora serve dire LA SECONDA VERITA’: fino alla fatidica data delle inquisizioni era diffuso convincimento dei dipendenti che non fosse vietato “vedere” alcunché; l’unica cosa che tutti sapevano era che per “utilizzare, diffondere e trasferire a terzi” i dati di cui si veniva a conoscenza era fatto obbligo di avere motivi di servizio debitamente autorizzati. Lo dimostra la famosa risposta al test finale del corso di autoformazione sulla privacy organizzato da una delle agenzie fiscali, che alla domanda “Si immagini che un dipendente dell’Agenzia delle Entrate fosse curioso di conoscere la situazione economica di un suo conoscente e, a tal fine, visionasse i suoi dati reddituali: la situazione non è florida e tale informazione -per passaparola- comincia a circolare nella cerchia dei conoscenti. Da tale comportamento possono scaturire sanzioni penali?” dava come risposta corretta: ”No perché l’azione non è stata compiuta con l’intento di cagionare danno” e alla successiva domanda: “si immagini che un dipendente dell’Agenzia delle Entrate fosse curioso di conoscere la situazione reddituale di un suo conoscente e, a tal fine, visionasse i suoi dati; tale comportamento è lecito?” La risposta corretta era: “lecito, a condizione che l’impiegato sia autorizzato all’accesso a tali dati e non li comunichi o li diffonda ad altre persone”.
Solo dopo quanto è successo agli “indagati per caso” l’Agenzia ha cercato di informare in maniera più compiuta il personale e di mettere dei paletti agli accessi creando peraltro una situazione che ancora oggi non è chiara e spesso intralcia le lavorazioni.
Questa è LA SECONDA VERITA’ che l’Agenzia deve subito dire. Servirà a chiarire le posizioni dei “rinviati per caso”.
E’ un atto dovuto nei confronti di dipendenti che, per poco più di mille euro al mese hanno avuto fra le mani una bomba ad orologeria e non lo sapevano.
E’ un atto dovuto nei confronti di tutti i lavoratori dell’Agenzia delle Entrate perché possano riacquistare fiducia e serenità ed essere certi di appartenere ad un’Amministrazione che sa distinguere fra comportamenti onesti e disonesti, e sa farsi carico di proprie responsabilità, quando è necessario.