CONSIGLIO STRAORDINARIO DELLA PROVINCIA DI CAGLIARI PER PROCLAMARE LO STATO DI CRISI OCCUPAZIONALE

USB partecipa alla seduta straordinaria

Cagliari -

 

 

Quasi centoventiseimila iscritti ai Centri servizi per il lavoro e tasso di disoccupazione che continua ad aumentare: A fronte dei 455 nuovi posti di lavoro è da registrare la perdita di 3.648 per un saldo negativo, tra  il 2010 e il 2011, sono state 3.229 le  persone che sono rimaste senza impiego nella Provincia di Cagliari. 

 

Sono stati questi i numeri che hanno spinto la Giunta provinciale, promotrice l’assessore al lavoro, Lorena Cordeddu, ad indire un’assemblea di tutte le forze sociali e politiche-istituzionali al fine di dichiarare lo stato di crisi occupazionale di tutta la provincia di Cagliari. Ed ancora: i Centri servizi hanno registrato in un anno un aumento delle iscrizioni del 5,3 per cento (6.044 unità). Mentre in due anni si è arrivati a un incremento di circa 10mila iscritti. E, parole della Presidente: “si hanno buoni motivi per pensare che non c’è un’inversione di tendenza e, quindi, le cifre tenderanno ad aumentare fino alla fine dell’anno. “ Lavoro che non c'é, ma anche sempre in bilico. In una parola, precario: a riprova il fatto che il 72,8 dei rapporti di lavoro avviati nel 2011 si è concluso entro la fine dello stesso anno, mentre gli avviamenti a tempo indeterminato raggiungono appena il 19,8 per cento del totale.  Una mattanza di posti di lavoro che riguarda tutti i settori produttivi: dal commercio, all’edilizia, fino ad arrivare all’industria. Posti di lavoro che non vengono assorbiti neppure in minima parte dal settore pubblico visto il blocco del turn-over e i tagli attuati.

 

 

E di fronte a queste cifre che imporrebbero una politica da new deal con conseguente forte immissione di risorse pubbliche al fine di creare occupazionale. La Provincia si vede costretta dalla camicia di forza chiamata patto di stabilità a non poter spendere neppure le risorse che avrebbe a disposizione: e si tratta di 150 milioni di euro. Quello che potrebbe essere un capitale per creare occupazione deve rimanere, in virtù di questo capestro, capitale fermo, immobilizzato per far quadrare i conti allo stato.

 

 

Ed il grido di dolore si trasforma in sordida rabbia nelle parole di alcuni sindaci dell’interno: “Non abbiamo voce per farci sentire: non possediamo elmetti da sbattere sul pavimento, visto che da noi non esistono fabbriche, e non possiamo minacciare di chiudere gli uffici pubblici visto che a chiuderli è stato lo Stato. E da tempo! Hanno chiuso le scuole, le caserme dei carabinieri le banche, e sono sul punto di chiudere gli uffici postali”. La banda larga è ancora un miraggio e per mandare una mail da Esterzili a Escalaplano si fa prima a spedirla con un messo comunale”.

 

Più Stato ma con meno vincoli è stata l’invocazione di molti, anche di coloro che, a parole si dicono fautori del liberismo capitalistico. Più Stato sociale che ottemperi al dettato costituzionale che dia la possibilità a tutti di accedere ad un lavoro dignitoso e dignitosamente retribuito è stata la richiesta del rappresentante USB.

 

E si è fatto qualche esempio, in quale direzione la Provincia potrebbe muoversi: attivarsi per la riapertura delle saline che per venti secoli hanno creato posti di lavoro e valore aggiunto.

 

La messa in sicurezza degli edifici scolastici che dipendono dalla provincia, dare impulso alle energie rinnovabili. Fare la ordinaria manutenzione dei corsi d’acqua senza aspettare gli acquazzoni per poter dichiarare lo stato di calamità naturale. Investire sulla riqualificazione dei centri abitati senza consumare ulteriore territorio e sottrarlo all’agricoltura. Puntare su un’agricoltura di qualità ma non per questo di nicchia e quindi conseguente trasformazione industriale del prodotto cercando di arginare così  lo strapotere delle multinazionali dell’agroalimentare.

 

 

Queste potrebbero essere le ricette, alcune ricette, per contrastare la “crisi” senza dover ricorrere necessariamente a tutti i tipi di cassa integrazione e di sussidi “a fondo perso”.

 

Ma per fare questo occorre che la politica diventi veramente politica ovvero che amministri il bene pubblico come un pubblico bene e che si liberi dalla concezione clientelare e subalterna verso i poteri forti che finora la hanno imbrigliata.

 

Pensiamo che la Provincia abbia fatto il primo passo che è stato quello della presa d’atto di uno stato di crisi che così perdurando può solo portare al collasso l’economia della provincia stessa.

 

Il successivo dovrebbe essere quello di aprire una vertenza con la Regione e con lo Stato al fine di sforare il patto di stabilità se necessario e chiarire loro che la provincia non può morire per far sì che i conti rimangano nell’alveo di astrusi e imposti pareggi di bilancio.

 

Chiediamo che lo faccia chiamando a raccolta le forze veramente produttive, della provincia ed in primo luogo i diretti interessati che sono i lavoratori, i disoccupati, i piccoli commercianti, i disoccupati e i cassintegrati.