Contratti, tanto vale abolire il sindacato
di Luciano Gallino (tratto da “La Repubblica” del 10 giugno 2008)
Al convegno dei Giovani industriali di Santa Margherita Ligure s´è parlato nei giorni scorsi della necessità di individualizzare i contratti di lavoro. A ciascuno il suo contratto, personalizzato in base alle caratteristiche del singolo individuo. Già si possono immaginare gli effetti.
Ecco la laureata in ingegneria finanziaria che, non essendo riuscita ad esporre con efficacia il suo “portafoglio di competenze”, esce dall´ufficio del gestore delle risorse umane con un contratto a termine da 800 euro al mese; mentre poco dopo un bracciante agricolo quarantenne, capace quando occorre di battere i pugni sul tavolo, rimedia un contratto da 2000 euro a tempo indeterminato. Ma a parte gli effetti sui destini personali, si tratta di comprendere dove simili proposte di riforma dei contratti di lavoro, ove fossero attuate, potrebbero condurre l´insieme del sindacato. L´idea del contratto individuale per tutti non è ovviamente nuova, tra gli imprenditori, i politici ed i giuslavoristi. Di fatto da parecchi lustri la legislazione italiana sul lavoro si muove in tale direzione. Sulla progressiva individualizzazione del rapporto di lavoro si fonda palesemente il suo ultimo prodotto, la Legge 30 del 2003, come meglio si evince dal decreto attuativo n. 276/2003. Il bersaglio dichiarato, di continuo ripreso nella discussione degli ultimi mesi sulle riforme contrattuali, è il contratto collettivo nazionale. Abolito questo, è dato presumere, le nostre imprese potranno finalmente competere alla pari con le imprese indiane, filippine e messicane ed i loro salari da quattro dollari al giorno.
Il contratto di lavoro individuale si colloca evidentemente all´estremo opposto rispetto al contratto collettivo nazionale. Ma in questa opposizione non sono in gioco soltanto architetture contrattuali. La insistita proposta di tale tipo di contratto rappresenta infatti una negazione autoritaria delle stesse ragioni di esistenza del sindacato dei lavoratori. Tre secoli fa, essi cominciarono ad associarsi in vari modi per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Nessuno poteva sognarsi da solo di ottenere simili progressi. Troppa era la debolezza contrattuale di ciascuno di fronte al potere economico, politico e sociale degli imprenditori, dei mercanti, delle pubbliche autorità. Però l´unione di mille o diecimila debolezze realizzata con qualche forma di associazione poteva dar luogo a un soggetto collettivo in grado di opporsi con efficacia al potere dei padroni e dello stesso governo. Come scrisse una volta per tutte Adam Smith in La ricchezza delle nazioni (1776), gli interessi delle due parti non sono affatto gli stessi, e per entrambe l´associazione è indispensabile al fine di difenderli. «Gli operai – scriveva Smith – desiderano ottenere quanto più è possibile, i padroni di dare quanto meno è possibile. I primi sono inclini ad associarsi per innalzare il prezzo del lavoro, i secondi ad associarsi per abbassarlo». Il livello del salario «dipende dal contratto concluso ordinariamente tra le due parti». Cioè tra le associazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro.
Anziché riconoscere il naturale conflitto di interessi che rende indispensabile l´associazione sindacale e il contratto collettivo, l´idea pre-smithiana del contratto individuale si fonda sul presupposto della uguaglianza di diritto tra le due parti. Un presupposto che ignora la abissale disuguaglianza di risorse economiche e giuridiche, di mezzi di sussistenza, di peso politico, di capacità di resistere senza lavorare e produrre che sussiste tra il singolo lavoratore e la singola impresa, sia pure di piccole dimensioni. Una condizione di fatto da cui discende la necessità d´un sindacato che al tavolo della contrattazione sappia portare la forza costituita dalla combinazione di gran numero di debolezze. Se allo scopo di modernizzare il modello di contrattazione, anziché por mente alla disuguaglianza in essere, la si nega recuperando il citato presupposto, tanto vale tirarne le conclusioni: poiché dove quest´ultimo predomina vengono comunque negate le ragioni sostanziali di esistenza dell´associazione sindacale, si potrebbe proseguire abolendo il sindacato. L´ingegnera finanziaria al pari del bracciante agricolo, il commesso di supermercato come l´addetta al call center non ne hanno più bisogno. Altro che contratto nazionale. Ciascuno saprà, al caso, ritagliarsi il contratto di lavoro che meglio gli conviene.
Allo scopo di abolire il sindacato il nostro legislatore non dovrebbe nemmeno sforzarsi molto. Dopotutto l´art. 39 della Costituzione stabilisce che l´organizzazione sindacale è libera, mica che è obbligatoria. Inoltre – e forse non è un casuale incidente storico – la parte seconda dell´articolo, quella che riguarda la personalità giuridica dei sindacati registrati, è rimasta fino ad oggi inattuata. Perciò si potrebbero semplicemente rispolverare le disposizioni del Combination Act approvato dal Parlamento del Regno Unito nel 1800, una legge antisindacale che ha fatto storia, avendo alle spalle una trentina almeno di editti repressivi susseguitisi fin dal 1720. La nuova legge precisava e generalizzava una legge dell´anno prima, denominata “Legge per impedire associazioni (combinations) illegali di lavoratori”, che però si riferiva soprattutto ai costruttori di mulini. Ora veniva stabilito che tutti i contratti, convenzioni e accordi stipulati tra operai qualsiasi o altre persone al fine di ottenere aumenti salariali, oppure ridurre o cambiare l´orario di lavoro, o diminuire la quantità di lavoro prestato, erano illegali, nulli o vuoti. Prometteva anche fino a tre mesi di prigione comune, ovvero, a discrezione del giudice, fino a due mesi di lavoro forzato, a chiunque violasse la legge. Migliaia di lavoratori ne han fatto le spese negli anni successivi.
Ho ricordato questa famosa legge antisindacale del passato perché al fondo del piano inclinato su cui il sindacato come istituzione pare rapidamente scivolare, a forza di diluire la vocazione originaria di attore che traduce la debolezza economica individuale in una forza collettiva per sua natura conflittuale, potrebbe trovarsi in un futuro non troppo distante davanti a qualcosa di simile. Magari senza la minaccia del carcere: le destre di oggi hanno compassione per chi non le ostacola. Per non sparire del tutto potrebbe trasformarsi in una società segreta, come avvenne durante il venticinquennio di vigenza del Combination Act. Oppure in un sindacato di servizi. Altra sagace idea dei modernizzatori odierni, nata più o meno ai tempi delle ghilde, poi superata dall´avvento delle unioni sindacali che preferivano, le sprovvedute, battersi per aumentare i salari.