Devastante la crisi del commercio in Sardegna. Il grido di Confesercenti: scomparse 4.000 imprese e persi 5mila posti di lavoro

Cagliari -

 

 

I dati pubblicati dal Centro Studi nazionale della Confesercenti indicano lo stato di salute dell’Isola. Dal 2007 al 2013 sono scomparse quattromila imprese nei settori del commercio e del turismo e oltre cinquemila posti di lavoro. L’unico dato in controtendenza è quello del commercio ambulante (+8,7 % ovviamente utilizzato come ripiego da chi ha perso l’impresa ).

 

Lo studio evidenzia il reddito medio del commercio al dettaglio, escluso il comparto alimentare, che dal 2007 al 2011 ha avuto un calo del 15,9%. Male va anche il settore dell’abbigliamento, nel quale dal 2007 al 2012 si passa da 5399 a 3812 imprese (-29,4%) con una diminuzione del reddito medio del 18,9%. 

 

Salgono le tasse pagate nel settore (nel 2007 era di 8.200 euro annui, mentre nel 2010 è salito a 8.383 con un +2,2%), mentre il credito alle imprese cala del 10,4% (dal 2010 al 2012).

 

Non mancano le critiche nei confronti degli Enti Locali che hanno concesso licenze alla grande distribuzione organizzata che mediante i centri commerciali hanno danneggiato il commercio al dettaglio di quartiere.  

Nel settore alimentare (carni, frutta e verdura, pesce, pane e dolciumi) nei soli capo­luoghi di Regione la scomparsa di negozi è ormai diventata una inarrestabile emorragia, tanto che, a fronte di una popolazione complessiva di 9 milioni 661 mila abitanti, sono rimasti solo 17.768 esercizi commerciali del settore alimentare. Vale a dire meno di 2 negozi ogni mille abitanti (1,8). Si va da un minimo di 1,2 a Milano ad un massimo di 3,4 di Napoli (a Cagliari il dato è di 3,2). Si sta andando verso la desertificazione urbana.

 

Gli obiettivi dello studio sono quelli di documentare la pesante situazione su fisco, consumi, lavoro, chiusure delle imprese, potere d’acquisto e risparmio delle famiglie.

 

I dati aggregati nazionali mostrano che per i consumi la spesa delle famiglie nel 2011 per consumi si riduce dell’1,1% rispetto al 2007, e quella per beni alimentari e bevande di cui  carne frutta e verdura del 6,29%, mentre le previsioni per il 2013 mostrano una attesa di un - 4,2% rispetto al 2011. 

 

Questi dati sono preoccupanti, denotano un calo del consumo dei beni del cosiddetto carrello della spesa, malgrado una differenza di prezzi tra i due periodi. Il consumo di beni totali era nel 2007 449.522 milioni di euro, mentre nel 2011 è stato di 425.694 milioni di euro (-23.828). Se consideriamo che quello che nel 2007 costava 100, nel 2011 costava almeno 110, il calo in termini reali di consumi è molto significativo.

Il 2012 è stato un anno molto particolare e ben peggiore del 2011, infatti i consumi delle famiglie nei primi tre trimestri dell’anno si sono ridotti del 4%, con un calo della spesa di quasi 26 miliardi di euro in soli nove mesi. I consumi delle famiglie si riducono del 12% per i beni durevoli, per i beni non durevoli - 4%, per i beni semidurevoli - 9,8%.  

 

La crisi del commercio e del turismo. Nel 2012 hanno cessato la loro attività 64.126 imprese del commercio al dettaglio (di cui 52.432 (82%) sono imprese individuali) e 27.691 imprese attive nell’Alloggio e Ristorazione. Ben 283 imprese al giorno hanno cessato la loro attività solo in questi due comparti.  Nel 2012 si sono registrati 34 fallimenti al giorno.

Tra il 2007 e il 2010 i redditi medi dichiarati nel Commercio si riducono dell’11%.

 

Credito e banche: tra il 2012 e il 2010 il credito alle imprese del Commercio, Turismo e Noleggio, Agenzie di Viaggi e Altri Servizi si è ridotto di circa 3 miliardi di euro  (il -2% in termini percentuali).

 

Le sofferenze per gli stessi comparti sono quasi raddoppiate con una crescita del 74% pari a 8 miliardi di euro.

La Confesercenti stima che quest’anno chiuderanno 450.000 imprese in totale. 

 

Si tratta di una crisi sistemica, una crisi che, partita dai mercati finanziari ha finito per contagiare tutti gli altri settori, anche quelli produttivi, finendo per decretare la morte di alcuni di essi e gli effetti si riverberano sulle nostre tasche, sulle nostre tavole nei tanti giovani che cercano un lavoro e non lo trovano.

E’ una crisi che maggiormente tocca le regioni più deboli, poiché i primi insediamenti industriali ad abbassare le saracinesche sono necessariamente quelli “meno redditizi”, una Regione dove la piccola e media impresa è merce rara e quando esiste è fortemente penalizzata da un sistema di trasporti carissimo e molto lento. Il sistema turistico, pensato per classi medio alte non riesce a reggere la concorrenza di altre mete che i tour operator offrono a prezzi più vantaggiosi.

E così quello che era stato propagandato come il naturale sbocco occupazionale del dopo industrializzazione, il terziario, si sta dimostrando una chimera, un mordi e fuggi di serrande che si alzano per un periodo di tempo sempre più breve per poi chiudere sotto l’incalzare della grande distribuzione e la responsabilità ricade in primo luogo, oltre che su una classe capitalistica miope e compradora, sui vari governi che si cono succeduti e che si sono dimostrati inetti dediti al pressapochismo capaci perfino di fare acuire la crisi, e farcela pagare con tasse, sacrifici e disoccupazione.