I salari rincorrono l'inflazione. E perdono.
Le retribuzioni seguitano a inseguire senza speranza i prezzi al consumo: in novembre su base annua - lo ha fatto sapere ieri l'Istat - presentano un aumento del 2,0%. Sempre in novembre la variazione dei prezzi al consumo era al 2,6%. Probabilmente i bassi salari hanno contribuito a rilanciare la produttività e la competitività del sistema Italia il cui export segna tassi di incremento nettamente superiori a quelli delle importazioni, come ha confermato ieri l'Istat.
Se le cose non vanno male per l'Italia, la vita sta peggiorando per milioni di lavoratori i cui salari reali stanno diminuendo. Un arretramento senza precedenti visto tra l'altro che il Pil anche se cresce poco, cresce, ma l'aumento della ricchezza nazionale (il Pil che viaggia attorno all'1,9%) non finisce nelle tasche del lavoro, ma delle rendite e dei profitti.
Alla base delle retribuzioni che rimangono ferme ci sono varie cause. La prima - e probabilmente la più importante - è che milioni di lavoratori (sei, secondo l'Istat) sono ancora senza contratto. Le trattative per i rinnovi si trascinano per mesi e mesi: a novembre i 6 milioni di lavoratori in attesa di rinnovo, aspettavano il nuovo contratto mediamente da oltre 13 mesi. E, salvo settori particolari, ormai è diventata una abitudine il rinnovo del contratto con circa due anni di ritardo, quando già bisognerebbe cominciare a trattare per il bienni successivo.
A questo occorre aggiungere, purtroppo, il crollo della capacità di lotta dei lavoratori. Senza tornare indietro di tantissimo nel tempo (quando ogni anno si contavano oltre decine di milioni di ore di sciopero in alcuni anni anche più di 300 milioni) appare quantomeno imbarazzante il dato dei primi nove mesi dell'anno: poco più di 1,4 milioni di ore non lavorate per conflitti di lavoro, il 56,1% in meno dello stesso periodo del 2006 che a sua volta era già in caduta libera rispetto al 2005. In pratica ogni lavoratore dipendente in media ha «lottato» solo per pochi minuti.
La caduta della conflittualità ha una motivazione quasi univoca che trova conferma nei dati diffusi dall'Istat giovedì: l'esplosione del precariato: lavoro part time (non per scelta) e lavoro a tempo determinato sono mannaie sulla testa dei lavoratori. Ormai la flessibilità (e quindi la ricattabilità) coinvolge milioni di lavoratori. E lottare in queste condizioni non è facile, soprattutto quando in base agli accordi del '93 si lotta per poche lire. Senza contare che il rinnovo dei contratti nazionali ha come base l'inflazione programmata e solo ex post si tiene conto dell'inflazione effettiva. Che oltretutto sottostima il reale andamento del carovita, visto ad esempio che esclude le rate dei mutui che stanno salendo rapidamente a causa del caro-denaro.
Roberto Tesi – Il Manifesto 22/12/2007