Il pilota automatico della politica
Finanziaria 2023, nulla di nuovo!
E’ nota la famigerata formula del “pilota automatico” che sta a designare il fatto politico che qualunque governo si avvicendi alla guida dello Stato italiano, il suo percorso è comunque “tracciato” dai dispositivi della governance predisposti dalla Unione europea. Per cui i margini di manovra risultano assai risicati.
Ecco, leggendo i primi passi mossi dal Governo Meloni, e in specie con riguardo alla modesta Legge di Bilancio per il 2023, ci pare di poter piuttosto scorgere il “pilotino automatico”. Anzitutto per la modesta entità delle risorse stanziate contro cui si infrangono le roboanti promesse elettorali della destra di “lotta”, costretta dalla dura realtà di una persistente crisi sistemica del capitalismo italiano e globale a scontentare persino frange significative della propria base elettorale (il caso dei gestori delle pompe di benzina è emblematico).
Non molto diversamente dai governi che l’hanno preceduto, si vede anche questo costretto a rivestire il ruolo di amministratore di crisi, di un declino inesorabile di cui non si riesce ad intravedere una realistica via d’uscita con le consuete e fallimentari politiche ispirate alla più ottusa ragione neoliberale.
E tuttavia ancora una volta i costi della crisi vengono scaricati sul salario, su gruppi sociali più fragili, a tutto vantaggio di una illusoria e speranzosa capacità dell’impresa di riattivare uno straccio di ripresa economica.
Le politiche fiscali e contributive di vantaggio per le imprese - a partire dall’introduzione della flat tax - ci raccontano – e nemmeno tanto sottotraccia – la realtà di un tessuto economico e produttivo nazionale afflitto da una persistenza bassa propensione all’innovazione e bassa produttività del lavoro, e che in larga parte galleggia (laddove ancora galleggia) grazie ai sussidi, diretti e indiretti dell’erario pubblico, con buona pace della retorica sulla competitività (fatta con le risorse pubbliche).
Sul lato lavoro, pensioni e famiglie fatta eccezione per la solita politica dei bonus vi è davvero molto, molto poco, se consideriamo che il potere d’acquisto viene letteralmente abbattuto dagli aumenti dei tassi di inflazione da un lato e dalle politiche di rigidità monetaria della BCE.
Sul versante dei rinnovi contrattuali del Pubblico Impiego, scaduto il 1° gennaio del 2022, non sono state stanziate risorse né s’intravede qualcosa di significativo per quanto riguarda lo sblocco dei tetti ai fondi per il trattamento accessorio. Sul versante welfare, cioè salario indiretto, si parla di briciole: 4 miliardi per la sanità, 5 per gli ammortizzatori sociali, 1 alla cultura, 500 milioni per istruzione e ricerca.
Sullo sfondo la “riforma” del reddito di cittadinanza, la cui filosofia di fondo sembra essere quella di fornire al sussidiato sistema delle imprese italiane ulteriore manodopera in saldo senza che vi sia a una strategia complessiva per il lavoro e la formazione. Come se possedere un astratta potenziale capacità di lavoro possa dall’oggi al domani tradursi in una occupazione lavorativa stabile e soprattutto dignitosa. Ché alla base del declino pluridecennale di questo paese vi è appunto la perdita di senso e dignità del lavoro.
USB Pubblico Impiego Sardegna