Il prof. Ichino discute di licenziamenti con il sindacato puro e duro.
Sinistra e sindacato incapaci di scandalizzarsi
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Lo vedi arrivare silenzioso, con in mano la borsa di pelle morbida piena di carte, e ti chiedi cosa mai possa aver fatto quest'uomo per diventare uno degli obiettivi delle nuove Brigate Rosse. Poi lo senti parlare e ti accorgi che sì, quello che dice può aver dato fastidio a molti. Poi lo senti parlare e ti accorgi che sì, quello che dice può aver dato fastidio a molti. C'è chi accetta di discuterne e chi il confronto non lo vuole proprio, come i nuovi terroristi nostrani. Compresi quelli armati di bomboletta di vernice che hanno spruzzato minacce sui muri di Stampace, a Cagliari, dopo il dibattito di venerdì.
Perché Pietro Ichino - giuslavorista e docente di diritto del lavoro alla Statale di Milano, editorialista del Corriere della Sera ma anche ex sindacalista ed ex deputato del Pci negli anni '70 - propone e professa la riforma della Pubblica Amministrazione attraverso il licenziamento dei lavoratori che non producono, l'introduzione di criteri serrati di valutazione e l'aumento della flessibilità.
“I nullafacenti”, si intitola il suo ultimo libro: perché, sottolinea, «c'è poco da dire: in ogni settore della pubblica amministrazione c'è qualcuno la cui produttività è nulla rispetto ai costi, quando non è negativa». Il sottotitolo, poi - “Perché e come reagire all'ingiustizia più grande della nostra amministrazione pubblica” - non lascia spazio a dubbi ulteriori.
Se poi il dibattito è fra il professore e le Rappresentanze sindacali di base, i Cub del pubblico impiego (l'ala dura e pura dei sindacati: quelli, per dire, che contestano anche il fatto che il volume sia edito da Mondadori e che non si considerano certo «la ruota di scorta dei Confederali»), allora capisci che il confronto è di quelli veri: anche perché, per Ichino, quello ricevuto a Cagliari è il primo invito da parte delle RdB.
E il giuslavorista non si sottrae, a partire dal motivo per il quale è costretto a vivere sotto scorta: «Credo che discutere, anche in modo radicale, non è sparare. Non credo, invece, che il dibattito della sinistra sindacale e politica sia terreno di coltura per i terroristi: il loro obiettivo è quello di vietare ogni tipo di dibattito». Vero è, però, che la sinistra fa degli errori che possono favorire il terrorismo: «C'è una prassi abbastanza diffusa che consiste nel demonizzare una persona, un libro o un argomento facendone un tabù. Ma il dibattito è altra cosa, per quanto possa essere violento».
Sinistra e sindacato incapaci di scandalizzarsi
C'è dell'altro: «Sinistra e sindacato non sono più in grado di scuotersi davanti alle situazioni più scandalose». Certo che può dare fastidio, questo: soprattutto se a dirlo è uno che la tessera della Cgil ce l'ha in tasca: «Un titolo del genere, “I nullafacenti”, serve proprio a scuotere: è un richiamo forte, ma sotto c'è un ragionamento. Dalla scuola all'università, dagli enti pubblici agli uffici amministrativi, «in tutte le categorie della Pubblica Amministrazione non c'è tensione produttiva». È il grande problema del settore, secondo Ichino. Superabile attraverso una privatizzazione “ragionata” e non tout court: «Nel pubblico impiego significa cambiare le modalità contrattuali, per poter guardare alla produttività del lavoratore».
Il passo successivo sarebbe naturale: «Il licenziamento dei nullafacenti, poi, non è “la” misura, ma una misura che spesso è necessaria. Introdurre criteri di valutazione e di musurazione potrebbe generare stress, certo, ma dovrebbe essere la giusta tensione emotiva». La ricetta sembra semplice: il sussidio di disoccupazione per i “cacciati” e l'incremento della vera flessibilità. È vero che nel privato si arriva a livelli di stress anche troppo elevati, «ma nel pubblico impiego succede esattamente il contrario».
È quello che porta personaggi come il professor M. - docente in un istituto milanese, che agli alunni dice che non insegnerà la sua materia perché non la ama, protagonista di un articolo di Ichino sul Corriere - a non curarsi delle domande degli ispettori perché tanto, racconta il giuslavorista, «dice “non mi possono fare niente”».
Di storie così Ichino ne conosce tante. Il libro è nato proprio in questo modo: dalla raccolta delle testimonianze di chi negli uffici pubblici ci lavora. «Un libro di 140 pagine e qualche articolo sul giornale hanno suscitato un interesse enorme. Ogni giorno mi arrivano centinaia di messaggi: molti di critica, ma molti altri che confermano quanto scritto». La riflessione, su questo, dovrebbe essere bipartisan: perché una pubblica amministrazione efficiente «è la precondizione per cui un paese può crescere».
Non vuole colpire alla cieca, Ichino. Ma i lavoratori del pubblico impiego che fanno capo alle Rappresentanze di base isolane si sentono colpiti. E non lo mandano a dire: «Il suo lavoro ha preso una deriva politica», sostiene il segretario regionale Rdb Enrico Rubiu. «Le sue non sono posizioni da giuslavorista, ma da opinionista». In più, secondo il segretario, «il libro è mediocre: c'è poco di suo, e in quel poco ci sono molte inesattezze». Sull'assenteismo, ad esempio: «Nel privato è il 6%, ma nel pubblico non è il doppio come lei sostiene». Il motivo sarebbe semplice: «Nel settore privato si va a lavorare anche da malati, quando non si dovrebbe, per paura di perdere il posto».
I delatori da Grande Fratello
Ma non basta: secondo i lavoratori, Ichino sostiene la necessità di smantellare l'amministrazione pubblica «ma dimentica la mission, che è quella di assicurare servizi. Nel privato, invece, l'obiettivo è quello di produrre profitto». Ma quello che è peggio, dal punto di vista del rappresentante sindacale, è che «il professore propone la delazione: un dipendente licenziato dovrebbe dimostrare che c'è un collega che produce meno di lui. Scatenando un Grande Fratello nei posti di lavoro».
Poi c'è il precariato. La ricetta di Ichino è semplice: serve maggiore flessibilità. «Il problema», ha detto Francesco Birocchi, presidente dell'Associazione della stampa sarda, «è che in Italia siamo passati a un livello di flessibilità imperante, senza nessun paracadute». Succede nel giornalismo. I precari sardi sono 240, e 104 i professionisti non contrattualizzati: eppure lavorano come e quanto chi un contratto ce l'ha. «È necessario capire», ha sottolineato Birocchi, «se dipenda dalle posizioni personali di chi lavora o dall'impostazione del modo di lavorare». Non solo nel giornalismo, visto che secondo i dati Inps i nuovi precari in Sardegna, e solo nell'ultimo anno, sono 4000: «Serve una riflessione sull'impostazione complessiva del lavoro».
Di nuovo i dipendenti pubblici, sul punto cruciale: i licenziamenti. «Chi ci assicura che dopo gli inefficienti non si passi a licenziare anche per le idee politiche o per qualunque altra scusa? Il mobbing, professore, esiste anche nell'amministrazione pubblica».
di M. Murgia