L'autunno che verrà...
La questione più importante aperta su questo dopo ferie è la questione del Referendum nei luoghi di lavoro ed il giudizio che i lavoratori daranno sulla bontà e sulla validità dell'accordo firmato lo scorso 23 luglio tra Governo e Sindacati.
Ma il referendum si farà? Non è questa cosa di poco conto. Sul fatto che si tenga o meno questo referendum (legittimo e dovuto), così come sul fatto di come sarà organizzato, si gioca la credibilità del sindacato confederale, la sua capacità di rappresentare il punto di vista dei lavoratori, la sua volontà di essere organizzazione capace di percorsi di vera partecipazione e di democrazia, di rispetto verso il mondo del lavoro in generale, ed insieme a questo si gioca la possibilità di poter riaprire o meno il confronto col Governo su basi completamete nuove.
Il fatto è che, passate le ferie, in tanti sembrano voler rimuovere l'importanza di questa verifica. In realtà quanto ottenuto col protocollo del 23 luglio è considerato ormai cosa intascata e dovuta. A nessuno interessa quello che i lavoratori ed i pensionati hanno da dire su un accordo che ha deciso e pesantemente del loro futuro.
Cgil Cisl Uil (pur col mal di pancia della Cgil ... ma poco ... un piccolo rigurgito) difendono l'accordo che hanno firmato (senza mandato) ed ancora non si sa se intendono o meno fare il referendum tra i lavoratori sull'accordo (tanto sono convinti di essere rappresentativi a prescindere). Certo se ne parla ma l'unica cosa che si è stati capace di decidere è stato un rinvio a decidere. A pesare sono i sospetti di Cisl e Uil sulla Cgil (accusata di non saper difendere veramente e fino in fondo l'accordo firmato per via della presenza al suo interno di una sinistra sindacale fortemente critica). Così è che Cisl e Uil propongono una consultazione limitata solo ai loro iscritti, e la Cgil (come sempre) si trova nell'angolo. Prima ha firmato l'accordo comunque (per non far cadere il Governo) ed ora sostiene il referendum (che Cisl e Uil non vogliono) ma senza forzare troppo la mano (per non aprire contraddizioni ed attriti nei rapporti unitari). I lavoratori, ed il loro diritto ad esprimersi sull'accordo, sono ovviamente marginali. A contare è la dinamica del rapporto tra burocrazie.
Il Governo, visibilmente soddisfatto per un accordo che di fatto conferma la legge 30 e che sulle pensioni ha prodotto una maggiore disponibilità di cassa per il bilancio dello Stato (andando ben oltre agli obiettivi delle controriforme di Dini prima e di Maroni poi) non sembra interessato a quello che i lavoratori potrebbero dire su quell'accordo, quasi che diano per scontato che non ci sarà nessun referendum. L'unica cosa che sa fare è la riproposizione del solito tormentone. "Dopo di noi il diluvio" quindi tutti zitti ed allineati.
Tutta la massa di economisti (a suo tempo reclutati ed intruppati per spiegarci quanto fosse utile lavorare di più e prendere meno di pensione e quanto fosse intelligente consegnare il nostro Tfr a fondi finanziari) sono spariti, e nessuno riesce a trovare la faccia tosta per andare in TV a spiegare come mai i tanto innovativi investimenti finanziari siano andati in crisi non appena i mutui Americani sono andati a rischio di insolvibilità e come mai, invece, l'unica nota positiva di questa cupa estate finanziaria sia invece (e guarda caso) l'attivo consolidato dell'Inps.
Montezzemolo che tanto ha recitato la parte dell'insoddisfatto (lui voleva ancora più sangue) per un accordo che lui continua a denunciare poco coraggioso, ha comunque intascato, le sue aperture sull'orario, sulla decontribuzione dello straordinario e del salario aziendale e si prepara a fare il pieno al prossimo tavolo sulla produttività anche per quanto riguarda nuove detassazioni e decontribuzioni a favore delle imprese, aggiuntive a quelle giù intascate solo due mesi fa. Tutto questo, ovviamente, piangendo miseria sulle tasse che le imprese sono chiamate a pagare e minacciando "urbi et orbi" tutti quelli che parlano, pensano o sognano di aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie
Ciò che accomuna tutti è il ritenere, ognuno a modo suo, marginale ed ininfluente il fatto che dopo mesi di trattativa condotta (senza alcun mandato) la parola debba tornare ora ai lavoratori ed ai pensionati che sono gli unici toccati da questo accordo.
In controtendenza a questo ritenere chiusa la partita ed immodificabile l'accordo si muove il percorso che sfocerà nella manifestazione del 20 ottobre prossimo. Una iniziativa di cui si avverte la necessità ma che ha, a vedere il manifesto di convocazione, alcune cose da approfondire e da chiarire. Si chiedono cose ovvie e condivisibili, e cioè che il Governo si dichiari disponibile a rivedere quelle parti dell'accordo che non coincidono col programma della maggioranza e lo contraddicono. Più in generale si chiede al Governo di rilanciare la sua iniziativa politica, sociale ed economica, attuando quanto il programma presentato agli elettori conteneva.
Si parla quasi esclusivamente delle parti relative al mercato del lavoro, ma la questione previdenziale pare messa in secondo piano, quasi assente. Manca completamente il sostegno alla necessità che su quell'accordo si vada a sentire prima di tutto cosa ne pensano i diretti interessati (non si era sostenuto e giustamente la stessa cosa a favore delle popolazioni interessate alla Tav ed a quelle interessate all'allargamento della base Nato a Vicenza?)
Manca sopratutto una critica complessiva all'organicità del protocollo del 23 luglio che è invece il perno su cui tutta questa vicenda si gioca. Queste carenze, se non recuperate e chiarite rischiano di indebolire la portata di un appuntamento così importante.
Già la stampa e la TV (e le altre forze politiche e sindacali non interessate alla manifestazione) stanno liquidando l'iniziativa come resa dei conti interna alla maggioranza Governativa, una forzatura contro le derive centriste.
Già nelle varie adesioni alla manifestazione prevale la preoccupazione di ridurre la manifestazione ad una specie di sollecitazione al Governo perchè questo si impegni con più coerenza sugli obiettivi del suo programma elettorale. Nessuno (si dice) vuole attaccare il Governo ma solo sostenerne gli obiettivi programmatici. E così, piano piano, il carattere della manifestazione rischia di cambiare obiettivo rispetto alla sua carica iniziale, nata e proposta subito dopo l'accordo del 23 luglio. Il rischio è che alla fine appaia che giornali e Tv abbiano ragione a ridurre la cosa ad una semplice forzatura di alcune forze governative verso altre forze governative per limitare i danni di una deriva centrista ormai evidente.
Il rischio è che anche i lavoratori finiscano per vederla solo nel suo aspetto politicistico non riuscendo più quindi a connettere questa iniziativa con quelle che sono le aspettative nei luoghi di lavoro.
Si potrà forse fare chiarezza sugli sbocchi vertenziali di questa manifestazione se si riuscisse entro settembre a mettere in campo contestualmente una vera consultazione democratica, certificata e vincolante tra i lavoratori attraverso l'indizione di un referendum. Le due cose si terrebbero assieme e rafforzerebbero una battaglia che (possibile che in molti continuino a non vederlo?) passa proprio nel rifiuto da parte dei lavoratori del protocollo di luglio. Si terrà o no un vero referendum nei luoghi di lavoro? Più che la manifestazione del 20 settembre è proprio questo che potrebbe riaprire la discussione sulla politica del Governo, oltre che sulla linea sindacale.
Per come vanno ormai da anni le cose sindacali in Italia, a pensar male non si sbaglia quasi più ed è diffusa l'impressione che nessuno voglia veramente un referendum tra i lavoratori.
Ed è per questo che la manifestazione del 20 ottobre deve connettersi con la battaglia nei luoghi di lavoro per il diritto a votare ed a decidere, anche esprimendosi esplicitamente contro il progetto organico che tutto il protocollo del 23 luglio contiene. Senza questa connessione rischiamo di vedere una manifestazione bella ed importante che poi però rischia di esaurirsi in una trattativa ed in un accordo tra le forze politiche governative per una rivisitazione, più o meno efficace, di alcuni punti legati al mercato del lavoro (di pensioni ormai non parla più nessuno) e d'altra parte una battaglia nei luoghi di lavoro che si esaurirà nella solita battaglia, condotta in solitudine, per il diritto al referendum e contro tutto il protocollo del 23 luglio (pensioni comprese).
Rischiamo cioè (anche se nessuno dice di volerlo) di vedere due percorsi diversi e separati che non riuscendo a connettersi di trasformeranno in due sconfitte (più o meno esplicite).
Il Governo, a parte qualche concessione di facciata, rimarrà ancorato alla sua deriva liberista e neocentrista, ed il sindacato concertativo pur subendo lo scontento dei lavoratori, ed evitando il confronto referendario, potrà continuare a trattare per conto dei lavoratori senza sentirsi in dovere di sentirli. Intanto, come tutti sanno, la legge 30 rimane, e la previdenza pubblica non c'è più.
Molti delegati e delegate di luoghi di lavoro saranno anche alla manifestazione del 20 ottobre, ma per chiedere la decadenza dell'accordo del 23 luglio (sia sugli aspetti del mercato del lavoro che su quelli previdenziali) e per pretendere un vero e democratico referendum nei luoghi di lavoro ed il rispetto del suo risultato da parte delle segreterie sindacali.
Coordinamento RSU