Libera informazione e disinformazione tra manipolazione e surrogato di libertà

Cagliari -

 

Non vi è libertà se non c’è libera informazione. Questo sembra sia un assioma oramai assodato, poiché dalla libera ed imparziale informazione i cittadini hanno la possibilità di sviluppare il libero convincimento e conseguentemente fare le proprie scelte. E questo lo hanno capito tanto bene i detentori del potere che alla libera informazione hanno sostituito il surrogato delle libertà di informare: e per farlo hanno creato dei monopoli o degli oligopoli detentori in primis delle agenzie di stampa e poi dei mezzi di informazione, i quali non devono servire ad informare i cittadini ma a veicolare le informazioni su binari prestabiliti in modo da formare una sorta di “pensiero unico” quello che Mc Luahn chiamava il “massaggio” anziché messaggio. La corretta informazione viene sostituita dalla massa di informazione: il fatto che esistano tante testate giornalistiche, tanti canali televisivi non è sinonimo di pluralità di informazione se poi, nelle scelte che contano, ci raccontano tutti la stessa cosa e cambia solo il tono ed il modo della narrazione.

Diceva un generale americano: “ per sapere dove scoppierà la prossima guerra bisogna seguire dove si dirigono le troupe televisive della CNN” e così è stato per la Somalia: ricordiamo i corpi dei poveri bambini datici in pasto dall’amministrazione Clinton, tutte le sere per indurci a pensare di quanto fosse giusto l’intervento “umanitario” in quella nazione. Poi.. sappiamo come è finita: La Somalia doveva essere smembrata, resa non governabile data in preda a bande di predoni che vendono il territorio per lo stoccaggio di porcherie che le nazioni occidentali non sanno come smaltire. E naturalmente i bambini somali continuano a morire di denutrizione ma le televisioni guardano altrove e noi ignoriamo, dobbiamo ignorare quel che succede lì.

Poi è venuta la Jugoslavia: I nostri media hanno riversato fiumi di inchiostro sulle persecuzioni etniche del cattivo Milosevich, lui il dittatore che opprimeva le etnie non serbe, e la Jugoslavia fu smembrata, a suon di tonnellate di bombe. Quel che abbiamo adesso è un insieme di staterelli e quel che non si dice è che gli operai bosniaci percepiscono uno stipendio pari a 50 euro mensili, non si dice che il Kossovo è diventato uno stato in mano a gruppi mafiosi, che lì si pratica la pulizia etnica nei confronti di gruppi di etnia serba e ancor di più nei confronti dei Rom; che il Montenegro è una base per le nostre mafie, che la FIAT preferisce investire in Serbia anziché in Italia perché lì un operaio metalmeccanico costa 400 euro al mese. Lì dove, prima della guerra, condotta anche con armi italiane gli stipendi erano di poco inferiori a quelli italiani. Le televisioni guardano altrove perché noi non dobbiamo sapere, perché devono preparare, addomesticare l’opinione pubblica ad accettare le prossime guerre.

Prendiamo gli esempi più recenti: La Libia. Che fine ha fatto la Libia? Dove sono finiti i due milioni di lavoratori che lì erano immigrati? Alcuni sono sbarcati sulle nostre coste altri, milioni di altri sono sparsi nei campi profughi ma di loro e delle condizioni di vita dei libici non se ne parla.

Ricorre in questi giorni l’anniversario della morte del Presidente venezuelano Chavez, e i nostri tg quando ne parlano lo trattano da “dittatore”, una persona che ha vinto le elezioni, che è stato capace di mobilitare le masse popolari allorchè un colpo di stato aveva portato al potere il presidente della CONFINDUSTRIA; viene definito dittatore, ma forse questo termine viene usato per chiunque si oppone a interessi ben consolidati, per coloro che pensano che la giustizia sociale non sia un’utopia. Ed infatti lo stesso termine viene usato adesso per Maduro, l’attuale Presidente, anch’egli regolarmente eletto lasciando intendere che una caduta del governo venezuelano sarebbe auspicabile. Magari per rimettere le mani sul petrolio, i cui proventi, servono per finanziare politiche sociali.

La vicenda dell’Ucraina viene trattata come una battaglia di democrazia, e che il governo legittimo sia stato defenestrato da un golpe finanziato dalla Cia e dagli Stati Uniti poco importa; il presidente (ormai ex) era un dittatore, un tiranno (non viene mai detto che è stato democraticamente eletto da milioni di cittadini che lo hanno votato). E chi, come la signora Julija Volodymyrivna Tymošenko era stata condannata, e spedita in galera dopo un regolare processo non per reati politici ma per il fatto di essersi arricchita con i soldi pubblici, e averne rubato molti, diventa una pasionaria, una eroina della libertà. Si dice che questo è stato il volere del popolo e non si dice che il Segretario di Stato degli USA ha passato la maggior parte del suo tempo a soggiornare nei pressi di Kiev che i ministri degli esteri polacco e tedesco facevano la spola fra le loro capitali e la capitale ucraina, non si dice che fra i “giovani” accampati in piazza vi erano, e vi sono, fascisti di ogni risma, no, questo deve essere ignorato dall’opinione pubblica, l’opinione pubblica deve essere addomestica all’idea che se la Crimea, seguendo il diritto dell’autodeterminazione e non volendo correre il rischio di persecuzioni vuole chiedere con un referendum l’annessione alla Russia (Nazione da cui proveniva prima che Krusciov la cedesse all’Ucraina) allora si strilla al GOLPE! Strano modo di intendere il gioco democratico: mentre si corre a riconoscere un governo nato da moti di piazza ben orchestrati sotto l’insegna delle svastiche non si vuole riconoscere il diritto ad una parte del popolo di indire un referendum!

Quello che non si dice è che le amministrazioni americane, siano esse democratiche o repubblicane, non accettano la vittoria elettorale di movimenti o partiti che possano contrastare i loro interessi. In tal caso, invece di rafforzare legittimamente l’opposizione, anche finanziandola, in modo che rafforzino la propaganda sino alle elezioni successive, si passa a finanziare i moti di piazza, le proteste dure, per provocare la caduta di governi “poco amici” o “nemici”. E si cerca di provocare l’escalation, l’incidente che porta al morto, alla repressione, e che quindi giustifichi le proteste illegali, che così diventano proteste contro la dittatura. Questo chiaramente va bene se avviene nel giardino altrui, proviamo ad immaginare se ciò avvenisse in casa loro, o in casa nostra. La Spagna ha emesso leggi che proibiscono proteste e accampamenti davanti alle sedi istituzionali. Proteste come quelle degli “indignados” sarebbero oggi impossibili. Sarebbero condannati ad anni di carcere. Una “rivoluzione” in Spagna come quella egiziana, tunisina, ucraina, sarebbe impossibile, ma questo va bene, perché è la destra che si protegge. In Italia, in Val di Susa, quattro giovani sono sotto processo per avere danneggiato (o provato a danneggiare) degli automezzi, e l’accusa che viene mossa loro è di “terrorismo” rischiando così fino a vent’anni di carcere. La democrazia di alcuni paesi viene messa sotto esame, e sono gli Stati Uniti e l’Europa che decidono quali metro utilizzare per misurare e decretare se un regime eletto democraticamente debba essere abbattuto o debba restare in piedi. Quello che è avvenuto in Egitto è emblematico: un presidente democraticamente eletto è stato deposto da militari e tutti hanno plaudito. Ci sembra semplicemente inaudito, antidemocratico, golpista, filofascista, come è filofascista sdoganare le milizie fasciste e naziste che hanno portato in piazza a Kiev la loro forza d’urto e hanno abbattuto un governo regolarmente eletto per motivi geopolitici: far rientrare nei giochi filo atlantici un paese che guarda a est. Un paese ricco di immensi beni naturali.

La disinformazione regna sovrana: intanto qui da noi la miseria cresce, la disoccupazione cresce, la metà della ricchezza del paese è detenuta dal 10 per cento delle famiglie, e tutto va bene. Un governo non eletto dal popolo da noi è democratico, mentre governi eletti direttamente dal popolo vanno cancellati dalla faccia della terra.