L'inflazione risale e si mangia salari e pensioni
Le persone non più giovani, gli anziani abbiamo un dovere: quello di ricordare, ricordare a noi stessi per poter trasmettere il nostro vissuto ai giovani. Ricordiamo, dunque, cosa ha significato per la nostra generazione questa parola terribile: inflazione, Attraverso diverse leggi,negli anni “80 si decise di abolire “di fatto” la scala mobile. Ci dissero che attraverso quell’abolizione l’Inflazione si sarebbe arrestata. Si dimostrò un falso storico visto che l’inflazione continuò a salire fino a sfiorare il 18% nel 92. Sembrava, dunque, che sconfiggendo l’inflazione si dovesse vivere tutti felici e contenti. Ricordiamo, invece, che quei tagli, altro non furono che il preludio di altre sconfitte, di altri cedimenti da parte di confederazioni sindacali sempre più succubi ai voleri dei governi e dei padroni di turno. Sconfitte e cedimenti che hanno portato le masse popolari verso un impoverimento generalizzato. Impoverimento economico ma anche deprivazione di diritti. Da alcuni anni, ci dicono, che viviamo in regime di deflazione (il contrario dell’inflazione) Dovremmo esser contenti visto che ci avevano detto che “si dovevano fare sacrifici per sconfiggere l’inflazione e, stranamente, invece le condizioni di vita tendono al peggioramento, la forbice fra i ricchi e poveri tende sempre più ad allargarsi. Non solo! Scopriamo (e non da adesso) che i meccanismi di calcolo sembrano fatti apposta per fregarci. Se così è la nostra risposta non può essere dettata, e nemmeno suggerita, dalla “compatibilità” visto che i nostri interessi, i nostri bisogni sono diametralmente opposti da chi ci governa per conto del grande capitale,e della Troika. Creiamo ed alimentiamo il conflitto partendo dai nostri bisogni! L’inflazione “cattiva” continua a risalire, si mangia i salari e peggiora le condizioni dell’economia. La fotografia scattata dall’Istat sull’andamento dei prezzi al consumo non può indurre nessuno all’ottimismo, neanche chi sperava nella risalita dei prezzi per esorcizzare la “deflazione” che secondo i nostri esimi economisti e politici era la causa del rallentamento dell’economia nel nostro paese. Dopo anni di deflazione e di politiche monetarie Bce, inutilmente miranti a risollevare l’inflazione, un rialzo dell’1% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso potrebbe sembrare una buona notizia. Ma non lo è. Nel mese di gennaio 2017, infatti, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), registra un aumento dello 0,3% rispetto al mese precedente e dell'1,0% % rispetto al mese di gennaio 2016. Il problema – spiega l’Istat – è che, l’aumento dei prezzi non è dipeso da una crescita dei consumi, ma esclusivamente da fattori esterni all’economia italiana, come i prezzi petroliferi, o anche per la speculazione sui prodotti agricoli in seguito alle nevicate di gennaio. La situazione non potrà che peggiorare a breve termine, visto che il governo sta preparando una "manovra correttiva" da 3,4 miliardi per rispettare i diktat dell'Unione Europea; e si sa già che questa manovra conterrà tagli alla spesa pubblica e con probabilità l’aumento delle accise sui carburanti (che entrano nella formazione del prezzo di tutte le merci). Per i prodotti reali insostituibili (energia e alimentari freschi) aumentano di prezzo molto più rapidamente di quelli di cui si può fare a meno e ancora più rapidamente dei servizi, che avvertono meno la pressione dei prodotti energetici, ma che a causa dei loro tagli ci costringeranno a pagarli interamente. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano infatti dell'1,1% su base mensile e dell'1,9% su base annua. I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto – il cosiddetto “carrello della spesa” registrano una crescita su base annua del 2,2%. Sono questi a pesare effettivamente su salari e pensioni, già compressi fino al livello della povertà relativa. Al peggio non c’è mai fine: L'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) – quello su cui si basa il “recupero automatico dell’inflazione” nei contratti nazionali di lavoro ed ha effetti anche sulle pensioni – diminuisce dell'1,7% su base congiunturale e aumenta dell'1,0% in termini tendenziali. Tradotto, significa che avrà un effetto, nel migliore dei casi, pari a zero, se non negativo come in questi ultimi anni trascorsi, in termini di “aumenti salariali monetari”. Il potere d’acquisto scende perché salari e pensioni restano inchiodati mentre i prezzi riprendono a salire. Marzo 2017