Lo svuotamento di mansioni non costituisce mobbing - Cassazione Lavoro Sentenza 7985/2013
Con sentenza n. 7985 del 2 aprile 2013, la Cassazione ha affermato che l’accertamento del giudice in ordine ad una richiesta di mobbing può avvenire soltanto se sono stati accertati una serie di atti vessatori, non essendo sufficiente una mera dequalificazione professionale non supportata da fatti specifici e rilevanti: in sostanza alla dequalificazione occorre accompagnare una serie di atti finalizzati a “ghettizzare” il lavoratore.
La Cassazione, confermando le precedenti sentenze, ribadisce che il lavoratore non ha provato in giudizio “l’assunta dequalificazione professionale conseguente alla privazione di qualsiasi incarico, a seguito della revoca delle funzioni di responsabile di sezione”.
Il caso è relativo ad un dipendente comunale che ha citato in giudizio il proprio ente al fine di far accertare l’illegittimità della revoca dall’incarico di responsabile di sezione, con richiesta di reintegra nel posto occupato e, il risarcimento dei danni subiti. Sia il Tribunale di primo grado che, quello di Appello, avevano già respinto la domanda del lavoratore.
Secondo la Cassazione il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare che “ gli incarichi erano rimasti “sulla carta” e non avevano avuto esecuzione e che, lui era rimasto inoperoso. Cosa che, secondo la Corte di merito, non era avvenuta poichè la prova articolata in giudizio non verteva su quei fatti e a quel fine.
Per la Cassazione “non vi è contraddittorietà della motivazione in quanto il ricorrente non tiene conto che, secondo la Corte del merito il mobbing presuppone l’esistenza, e, quindi, l’allegazione di una serie di atti vessatori teleologicamente collegati al fine dell’emarginazione del soggetto passivo”. In altre parole non è sufficiente la prospettazione di un mero “svuotamento di mansioni”, occorrendo ai fini della deduzione del mobbing anche l’allegazione di una preordinazione finalizzata all’emarginazione del dipendente.