Manager moderno o padrone delle ferriere?
Editoriale USB
Alla Fiat degli investimenti promessi non rimane che una minima traccia mentre abbondano cassa integrazione e repressione.
Non ci erano piaciuti per niente gli applausi, anche se sicuramente imposti dalla presenza tra le fila degli operai dei capisquadra, tributati a Mario Monti e a Marchionne in occasione della visita allo stabilimento FIAT di Melfi a dicembre, e non solo perché indici di una coscienza della propria condizione molto scarsa quanto, soprattutto, in considerazione di quello che la FIAT ha promesso e non mantenuto in questi due anni, dalla famosa firma del contratto aziendale con cui essa sancì l’uscita dalla Confindustria, separando i destini dei propri dipendenti da quello di tutti gli altri metalmeccanici.
Quel contratto fu firmato dai sindacati complici FIM UILM FISMIC, fortemente voluto dai segretari di CISL e UIL, Raffaele Bonanni e da Luigi Angeletti i quali accettarono per buona, in cambio, la promessa verbale di un piano industriale con investimenti pari a 20 miliardi di euro.
Del piano e degli investimenti promessi non c’è stata mai traccia in questi due anni e c’è voluta proprio una bella faccia tosta, da parte dei vertici aziendali ma soprattutto di Bonanni ed Angeletti, a prestarsi a quella farsa davanti agli operai di Melfi.
Ieri, infatti, la FIAT ha annunciato due anni di Cassa Integrazione per questo stabilimento, ufficialmente per ristrutturare le linee per la produzione del SUV, marchio Jeep Chrysler, ma siccome ‘di doman non v’è certezza’ bisogna cominciare a preoccuparsi, visto quanto è successo a Pomigliano dove, invece dei mirabolanti investimenti promessi, l‘azienda ha firmato l’ennesimo accordo con i soliti FIM UILM e FISMIC per il prolungamento della CIG per gli oltre 2000 lavoratori rimasti con la bad company, la vecchia azienda FIAT. Per loro non solo non c’è alcuna possibilità di rientro ma con l’entrata di vigore della riforma degli ammortizzatori sociali, firmata Fornero, anche la cassa integrazione non costituisce più un ombrello protettivo seppur parziale.
Marchionne al contrario ha ottenuto dal Governo per la new company, Fabbrica Italia, che a Pomigliano ha assorbito 2150 su un totale di 4500 lavoratori, con un’operazione a dir poco sconcertante, la concessione della CIG in deroga, come se si trattasse di una piccola impresa o di un artigiano. A rigor di norma non aveva infatti diritto alla CIG visto che si trattava di una nuova azienda.
Più o meno la stessa sorte è toccata a Mirafiori, dove a produrre la Mito lavorano in 1000 su 5.500 addetti per non più di 3/4 giorni al mese, tutti gli altri a casa, mentre non sta molto meglio neppure lo stabilimento di Cassino che non trova alcun riferimento nella casella investimenti prospettati da Marchionne.
Altro che “manager più moderno, un maestro ristrutturatore” come lo ha definito il Financial Times, lo andassero a raccontare a tutti gli operai colpiti dai licenziamenti, dalla CIG e dalla repressione della FIAT, come succede alla SEVEL di Atessa in cui si cerca di intimorire chi si oppone all’aumento dei ritmi, ai sabati di straordinario imposti in concomitanza con la CIG con ritorsioni: cambi di turni a coppie di coniugi i quali, collocati nella stessa fascia oraria, non possono più dividersi la cura dei figli minori, cambi di officina o di mansioni, ai quali segue imposizione di visita medica per accertare l’idoneità fisica al lavoro.
Assomiglia molto più allo stile dei padroni delle ferriere dell’800!