Rapporto Istat su Occupati e disoccupati: a gennaio 3 milioni di disoccupati: "In un anno aumentati del 22,7%"
Nel 2012 record di precari: sono 2,8 milioni tra contratti a termine e collaboratori. La disoccupazione a gennaio anno vola all'11,7% (per l'intero 2012 la media è di 10,7%). Giovani senza lavoro al 38,7%. In crescita anche il tasso dell'Eurozona.
Forte nuova discesa dell'occupazione a tempo pieno (-423.000 unità, ulteriore incremento di quella a tempo parziale (355.000 unità, pari a +10,0%). Aumenta il part-time involontario.
Alcune banche sono troppo grandi per fallire e alcune persone troppo piccole per contare qualcosa.
La crisi avanza nel paese e la ripresa appare lontana: a gennaio il numero dei disoccupati sfiora i 3 milioni, rileva l'Istat nel suo rapporto su occupati e disoccupati, con un aumento su dicembre di - 110mila unità (+3,8%), mentre il conto su base annua è ancora più salato: i disoccupati sono 554mila unità in più, con un incremento del 22,7%.
Il tasso di disoccupazione sale all'11,7%: il dato più alto da quando sono iniziate le rilevazioni mensili. Nel corso del 2012 la media del tasso di disoccupazione si è attestata al 10,7%, in aumento rispetto all'8,4% del 2011, ai massimi dal 1993 e con punte del 17,2% al Sud.
Pagano un prezzo altissimo i giovani tra i 15 e i 24 anni: il 38,7% è senza lavoro (al Sud ci sono picchi che superano il 50%, contro il 29,7% del Nord e il 39,3% al Centro).
L’Istat rileva anche un nuovo record di lavoro precario : i precari sono 2,8 milioni: 2 milioni e 375mila contratti a termine ( il più alto dal 1993) e 433mila collaboratori (è il più alto dal 2004).
Anche in forte aumento il lavoro part-time che vede coinvolti 3,9 milioni di lavoratori (ai massimi dal 1993); per molti usufruire del part-time “involontario” (il 57,4% nel 2012, mentre nel 2011 era al 53,3%) è una scelta obbligata.
La disoccupazione nel corso del 2012 cresce in maniera sostenuta, con un aumento di 636.000 unità (+30,2%), che interessa entrambe le componenti di genere e tutte le ripartizioni. Quella giovanile cresce di 6,2 punti percentuali, arrivando al 35,3%, con un picco del 49,9% per le giovani donne del Mezzogiorno
Nel dettaglio, a gennaio 2013 gli occupati sono 22 milioni 688 mila, in calo dello 0,4% (-97 mila unità) rispetto a dicembre 2012. Su base annua si registra una diminuzione dell'1,3% (-310 mila unità). Il calo dell'occupazione riguarda sia gli uomini sia le donne.
Nella zona euro il tasso di disoccupazione a gennaio era del 11,9% (a dicembre 11,8%, mentre a gennaio 2012 era al 10,8%. La disoccupazione giovanile sale 24,3%.
Come si puo’ ben vedere, la congiuntura dell’occupazione è terribile, e va di pari passo con quella mondiale. I disoccupati continuano a crescere. Milioni di posti di lavoro sono stati persi nel mondo da quando la crisi è iniziata nel 2008. Ma questi dati mascherano la realtà perché milioni di lavoratori hanno un contratto part-time, perché non hanno altre alternative; altri lavoratori posticipano il loro ingresso nel mercato del lavoro o rinunciano del tutto a cercarsi un impiego. I giovani sono i più colpiti, con una percentuale due o tre volte superiore a quella degli adulti. Troviamo anche troppo spesso che occupazione e disuguaglianza di reddito sono fattori che camminano insieme: milioni di persone hanno un lavoro ma vengono private dei requisiti base della loro dignità: diritti, salario equo per vivere, protezione sociale e libertà di espressione nel luogo di lavoro.
Dobbiamo chiedere alla politica di occuparsi dei cittadini e rispondere ad un malcontento in continua crescita, perché è necessario portare fuori dalla tragedia milioni di lavoratori disoccupati e precari che stanno pagando il prezzo di una crisi di cui non sono responsabili. Sono essenziali misure di stimolo alla crescita dell’occupazione di qualità. E’necessario adottare politiche che rispondano alle esigenze di reddito, giustizia e dignità che rispettino i diritti fondamentali del lavoro e sappiano ascoltare la voce delle persone che salgono da ogni dove. Oggi giorno forte è la percezione secondo la quale alcune banche sono troppo grandi per fallire e alcune persone troppo piccole per contare qualcosa. L’idea che gli interessi finanziari abbiano la precedenza sulla coesione sociale è paradossale, e sta minando la fiducia delle persone nello stato e nelle istituzioni.