Riforma lavoro: si tagliano ancora diritti; si flessibilizzano ulteriormente i contratti a termine e quelli di apprendistato
Il Dl Lavoro è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Partono le novità volute dal governo Renzi e dal ministro per il Lavoro, Giuliano Poletti.
Il decreto-legge, contiene disposizioni che secondo il governo dovrebbero rilanciare l’occupazione ma che di fatto precarizzano ancora di più il lavoro. Si aumenta la flessibilità sia nei contratti a termine che nell’apprendistato. Questa “riforma” inserendosi nel solco delle politiche filopadronali della Fornero, elimina alcuni limiti apparenti che il suo predecessore, il ministro Fornero, aveva inserito come foglia di fico per salvare le apparenze della presunta lotta alla precarietà. Uno dei principali paletti caduti è quello che non è richiesto il principio della cd. “causalità”, esistente in precedenza, anche se aggirata mediante mille sotterfugi legali da tutti i datori di lavoro e bellamente disatteso; la nuova norma consente al datore di lavoro di instaurare sempre rapporti a tempo determinato senza causale, anche nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato, nel limite di durata massima di trentasei mesi. Viene così superata la disciplina della mancanza di causa (ovvero la possibilità riconosciuta al datore di lavoro di non specificare le motivazioni che lo portano a fissare un termine al rapporto), in precedenza limitata solo al primo rapporto di lavoro. Inoltre si stabilisce poi la possibilità di prorogare fino ad un massimo di otto volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni, sempre che ci si riferisca alla stessa attività. L’apposizione del termine deve risultare da atto scritto.
Con le modifiche introdotte, si ha di fatto una vera e propria «mano libera» sulle mansioni prima concessa solo per i primi 12 mesi, ora consentita per tutti e tre gli anni. Non solo: se la durata massima del contratto a termine resta fissata in 36 mesi (dopo bisogna passare a quello a tempo indeterminato), ora fra un contratto e l’altro non esiste più l’obbligo di una pausa di dieci o venti giorni. I rinnovi possono essere uno successivo all’altro. Il decreto prevede anche che i contratti a termine possano coprire fino ad un massimo del 20 per cento dell’organico (ma le aziende sotto ai 5 dipendenti possono comunque stipularne uno), tetto modificabile quantitativamente dalla contrazione collettiva.
Dal testo di legge sono state cancellate definitivamente le ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che motivavano il contratto a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato. E questo vale non solo per il primo contratto, ma per sempre ed in ogni caso.
Quanto alle “semplificazioni in materia di apprendistato” , rispetto alla legge Fornero cade il divieto di non assumerne di nuovi se non ne sono stati confermati almeno il 30 per cento della precedente "infornata". Vengono quindi eliminate le attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo. Viene eliminata anche l’obbligatorietà, per il datore di lavoro, di assicurare all’apprendista di secondo livello una formazione "trasversale", ovvero di garantirgli la frequenza di corsi regionali, se ci sono, o di organizzarglieli ad hoc. Questa "formazione", prima obbligatoria a scapito di sanzioni pecuniarie in termini di contributi versati, ora sarà solo discrezionale. Le ore di formazione verranno remunerate al 35% del relativo monte ore complessivo di formazione fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva di modificare la percentuale, mentre le ore di lavoro effettivamente prestate verranno pagate per intero. Così la formazione sarà spesso presente (perché remunerata meno), ma potrebbe essere solo sulla carta.
Crediamo che il commento sindacale non possa che essere di bocciatura al decreto. Si arriva ad una estensione del contratto a tempo determinato sino a tre anni, prorogabile per altri tre anni se il lavoratore viene addetto ad altra mansione. Aumenta la precarietà in modo pesante, e la discrezionalità del datore di lavoro di rinnovare o meno. E’ evidente che per tutti i tre anni i diritti sindacali sono compressi, un diritto garantito dalla costituzione. Non interviene sui costi del lavoro a tempo determinato, che dovrebbe essere meno conveniente per l’impresa. Rinnovare otto volte il contratto a t.d. introduce ulteriore elementi di flessibilità in un mercato già flessibile: in questi anni di crisi milioni di lavoratori sono stati licenziati. Introduce ulteriori elementi di sfruttamento degli apprendisti, eliminando la previsione secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti era condizionata alla conferma di una parte dei precedenti apprendisti al termine del percorso formativo. Ringraziano sentitamente e sono soddisfatte ovviamente delle modifiche le associazioni imprenditoriali Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confindustria e Confesercenti che dichiarano che i contratti a termine e quelli di apprendistato, sono stati finalmente liberati da vincoli e la semplificazione delle procedure è la strada giusta da percorrere per sbloccare le nuove assunzioni. Sappiamo che non è così. Più si precarizza e meno possibilità ci sono per l’economia di ripartire: se non si dà il diritto al salario, al lavoro, alla dignità, nessun assunto con questi criteri precari potrà costruirsi un futuro (come farebbe a crearsi una famiglia? come a comprarsi una casa?), quindi la stagnazione andrà avanti.
L’ammucchiata al governo prosegue le politiche liberiste dettate dall’Europa e dalla Germania nella scia dei precedenti governi. Il governo Renzi continua a fare i compiti a casa. Ma sono i compiti che l’Europa gli impone, non sono i compiti che gli italiani chiedono. La corsa contro il tempo (indeterminato) di Renzi & Co. è appena cominciata, l'Europa starà a guardare e i lavoratori, lanciati a briglia sciolta in un mercato del lavoro sempre più deregolamentato, vedranno allontanarsi sempre più la speranza di mantenere i propri diritti, e con questa riforma, anche il posto di lavoro. Questo è il vero “regalo” di Renzi e Poletti ai lavoratori, non gli 80 euro promessi ma un carro armato in marcia per distruggere diritti e normative sociali.
In allegato il decreto legge del governo Renzi