Spagna secondo l'OCSE i disoccupati saranno 6 milioni nel 2013. E intanto l'ESM stacca un assegno da 37 miliardi per salvare le banche spagnole
La relazione intermedia degli economisti dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sulla Spagna dipinge un quadro fosco. L’andamento previsto è negativo: la recessione si intensificherà nel 2013, la crisi colpirà tremendamente il mercato del lavoro e la disoccupazione salirà al 26,9% nel 2013 e calerà di un solo decimo nel 2014, superando i 6.000.000 di disoccupati . Il paese pagherà salato il taglio della spesa pubblica, che determinerà una contrazione della domanda di beni e servizi. Secondo questo studio, il governo non potrà raggiungere i suoi obiettivi di contenimento del disavanzo, in quanto la contrazione del PIL sarà del 1,4% quasi tre volte quello stimato dal governo (-0,5%). Inoltre, il debito dovrebbe continuare ad aumentare, raggiungendo il 97,6% del PIL nel 2014 (per inciso ricordiamo che il debito pubblico italiano è al 123%).
L’Ocse pone in risalto tutte le contraddizioni delle ricette neoliberistiche che da anni chiedono tagli selvaggi nella pubblica amministrazione e austerità a tutto spiano.
Questa analisi dell’Ocse rompe per certi versi l’appoggio incondizionato a quello che da noi definiamo il “Montismo”, una politica di tagli e tasse, lacrime e sangue, senza curarsi se si sta ammazzando il paese, e chi ivi vi vive, anche se poi si contraddice quando afferma che comunque il piano di risanamento del bilancio è opportuno e necessario per ripristinare la fiducia dei mercati.
La Ocse ritiene che la Spagna non potrà raggiungere gli obiettivi che si è proposta a medio termine ed andare verso il pareggio di bilancio negli anni a venire. Lo studio consiglia alla Spagna di fare riforme strutturali, quale quella del mercato del lavoro e la riforma dei contratti collettivi, nonché ridurre l’abbandono scolastico e permettere l’accesso all’educazione universitaria per avere crescita a lungo termine.
Come aspetto positivo, l’Ocse segnala un miglioramento della competitività, con la bilancia dei pagamenti in attivo per la prima volta dal 1998.
Sei milioni di disoccupati sono una cifra pazzesca, sono il segnale del fallimento delle politiche neoliberistiche seguite dai socialisti e ora dai popolari in Spagna. E’chiaro a tutti che è necessario un cambio di politica economica, una politica che difenda gli interessi delle masse popolari, che dia loro lavoro, che tolga potere al capitalismo finanziario che non si preoccupa se per arricchire se stesso getta nella miseria milioni di persone.
Ma la Ocse non perde il vizio, che è quello di dare consigli che sembrano essere ordini: riformare il mercato del lavoro, abbassare il costo del mercato del lavoro, destrutturare i contratti collettivi. Ancora una volta il lavoro viene considerata una variabile dei conti economici, da aggiustare e modificare secondo le esigenze contabili dei vari governati, banchieri e o tecnocrati di turno. Questo è impensabile. Il lavoro non è una variabile dei conti, il lavoro è un diritto inalienabile; la democrazia si basa anche sul diritto a percepire un salario, il diritto ad essere indipendente.
Intanto in questi giorni l’Europa stacca una assegno di 37 miliardi di euro per ristrutturare il debito delle banche spagnole più in difficoltà: Bankia 17,9 miliardi, Ncg 5,4 miliardi, Catalunya Banc 9 miliardi e Banco de Valencia 4,5 miliardi (banca che è stata venduta per la cifra simbolica di un euro). Ricordiamo che la quota parte italiana nell' ESM è pari al 17,914%, e che lo stanziamento di 37 miliardi d euro grava sul debito pubblico spagnolo e sarà lo stato spagnolo a dover garantire la restituzione con gli interessi.
Le 4 banche riceveranno inoltre aiuti dal fondo spagnolo di ristrutturazione (Frob) per un importo di 30 miliardi di euro. A Bankia è stato imposto il taglio del 39% delle filiali e il licenziamento di 20.589 lavoratori (in un paese dove un lavoratore su quattro è disoccupato). Le banche oltre a licenziare, hanno l’obbligo di abbandonare le attività a rischio e concentrarsi sull’attività regionale.
La Spagna è un paese dove le banche vengono salvate e le famiglie sono sotto attacco. Ma le famiglie pagano duramente la crisi. Ogni giorno, in Spagna, si eseguono in media 159 sfratti di famiglie che non hanno pagato l’affitto o il mutuo. L’82 per cento degli sfratti coinvolge famiglie con bambini. Eppure, contemporaneamente, nel paese ci sono case di tutti i tipi vuote e sfitte, forse sono due milioni di alloggi, secondo certe stime. Gli esperti calcolano che siano molte più degli sfrattati, che passata una vita di debiti, poi sono iscritti nelle liste nere per cui sarà praticamente impossibile trovare un nuovo affitto, e quindi sono sempre di più le occupazioni di immobili vacanti o la rioccupazione abusiva delle vecchie case, dopo esserne stati sfrattati. E questo è il frutto di quella che hanno definito “bolla edilizia!
E’ una vita precaria e piena d’ansia. Ma molti non hanno alternative. In certi quartieri, operai che hanno perso il lavoro e la pazienza insieme ad altri volontari si scontrano con la polizia e con i funzionari delle banche tentando di resistere agli sfratti.
In Spagna, i titolari di mutui ipotecari sono personalmente responsabili per l’intero ammontare dei loro mutui. Oltre alle spese per interessi di mora e decine di migliaia di euro in diritti di cancelleria. Non esiste il fallimento personale e comunque l’ipoteca bancaria ha la prelazione nei debiti. Le banche possono quindi portarsi via le case anche se una sola rata non è stata pagata. Quelle stesse banche che vengono salvate con i soldi pubblici!
Non è vergognoso che la politica tuteli ancora e sempre le banche e mai le masse popolari?
Solo recentemente è stato adottato un provvedimento anti sfratto. Sono 120.000 le famiglie spagnole che forse beneficeranno del decreto antisfratto, che prevede per le famiglie una moratoria di due anni prima dell’esecuzione ipotecaria e un fondo di 6.000 immobili a prezzi ragionevoli da destinare a coloro che hanno perso la propria casa (una goccia nel mare).
L’austerità tutta e subito è stata un disastro, la Grecia ne è un esempio con un quinquennio di recessione e un debito che viaggia verso il 190 % del Pil. Il rigore massiccio è costato negli ultimi due anni 18 punti di Pil alla Grecia, 7,5 al Portogallo, 6,5 alla Spagna e 4,8 all’Italia.
Risultato: crescita ridotta, debiti sempre più insostenibili, disoccupazione alle stelle.
Invece dell’attuale rigore, che distrugge sviluppo creando debiti sempre più alti bisogna trovare strade alternative per uscire dalla trappola, per far ripartire la crescita, che è una urgente necessità.