Taglio delle detrazioni e deduzioni: l'ennesima rapina a danno dei lavoratori dipendenti

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Cagliari -

 

 

Non avevamo alcun dubbio che il c.d. riordino delle agevolazioni fiscali (già ventilato dal precedente governo e prontamente ripreso da Monti) si sarebbe tradotto in una colossale fregatura per i lavoratori dipendenti.

 

Perché ogni qualvolta si scomoda il termine semplificazioni e lo si applica alle imprese, ciò significa liberarle da qualsiasi “adempimento burocratico” (ove persino le norme a tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro del lavoro vengono considerati inutili adempimenti) consentendo loro di produrre, anche inquinando e seminando morte (Ilva docet).

 

Se però, lo stesso termine si applica al mondo del lavoro, la prospettiva cambia totalmente: e così semplificare il mondo del lavoro significa smantellare tutele e garanzie sociali (dai contratti collettivi, all’articolo 18), riordinare le pensioni significa decurtarle ulteriormente ed aumentare l’età pensionabile all’infinito, semplificare le agevolazioni fiscali significa “semplicemente” tagliare quel meccanismo di deduzioni e detrazioni che consente alle famiglie di recuperare qualche piccola spesa.

 

Provando poi, magari, a buttare fumo negli occhi con una finta riduzione di un punto percentuale delle prime 2 aliquote Irpef, che sarà ampiamente compensata dall’aumento dell’Iva. In un paese con un tasso di evasione impressionante, nel quale si potrebbero ipotizzare tanti interventi per restituire quanto meno credibilità e dignità ad un sistema fiscale che continua ad accanirsi sempre e solo sui redditi da lavoro dipendente, per i professori e tecnici della Bocconi, il problema è, invece, intervenire sul sistema di detrazioni e deduzioni dei redditi da lavoro dipendente.

 

E così, l’intervento del ddl stabilità in materia di detrazioni e deduzioni agisce su due piani: da un lato prevedendo una franchigia di 250 euro sulla maggior parte degli oneri deducibili e detraibili, dall’altro introducendo un tetto massimo di 3000 euro a cui concorrono gli oneri detraibili al 19%, eccezion fatta per le spese mediche: quest'ultima previsione, in particolare, vanificherà la detraibilità di più spese in capo allo stesso soggetto.

 

Giusto per fare due conti: se un lavoratore o una famiglia (con un reddito superiore a 15.000 euro) devono detrarre l’importo sul mutuo con la nuova misura si ridurrà il tetto massimo su cui calcolare il 19% da detrarre. Non più 4.000 euro ma 3.000. Per questo motivo l'importo massimo detraibile su un mutuo scende da 760 euro a 570 euro. La nuova legge rappresenta, quindi, una stangata da 190 euro l'anno per ciascuno dei circa 3 milioni di cittadini che stanno rimborsando un mutuo prima casa in Italia.

 

E non finisce qui. Se le nuove regole passeranno in Parlamento, non sarà possibile portare in detrazione altre spese, perché il tetto di 3.000 euro sarà interamente assorbito dal rimborso delle spese sul mutuo.

 

Ciliegina sulla torta è, poi, rappresentata dalla natura retroattiva di queste norme (cioè valgono già per l’anno di imposta in corso), con buona pace del principio di irretroattività sancito, tra l’altro, dallo Statuto del contribuente. Quello stesso Statuto del contribuente che veniva invocato a sostegno del famigerato articolo 7 del decreto sviluppo 2011, (con il quale si metteva il bavaglio alle funzioni di vigilanza e controllo sulle imprese) e che ora, invece, può essere tranquillamente disatteso. Due pesi e due misure a seconda degli interessi che si vogliono tutelare.

 

Probabilmente, la discussione sulla legge di stabilità interverrà su qualche singolo punto apportando delle modifiche che, comunque, non cambiano l’impianto generale della manovra che, ancora una volta, produrrà, di fatto, l’ennesimo aumento della tassazione sui redditi da lavoro dipendente.

 

E così, tra le tante piccole (e anche grandi) infamie che si annidano nella legge di stabilità, l’intervento sul sistema di detrazioni e deduzioni risulta particolarmente odioso.

 

Perché, è bene ricordarlo, quel sistema di detrazioni e deduzioni per come lo abbiamo conosciuto finora, risponde alla finalità di consentire ai lavoratori un piccolo recupero su spese di particolare rilevanza (mediche o educative), di utilità sociale (si pensi ad elargizioni a favore di Onlus) o che, comunque, rispondono a particolari finalità etico sociali.

 

E allora, la vera ingiustizia è, semmai, che la platea delle spese detraibili e deducibili dai redditi di lavoro dipendente andrebbe decisamente allargata: non si comprende, infatti, per quale ragione alcuni costi insopprimibili per produrre reddito da lavoro dipendente (si pensi alle spese di trasporto o per l’acquisto di apparecchiature informatiche o per l’acquisto di libri e periodici per la propria formazione culturale) debbano essere tenute fuori al meccanismo delle detrazioni/deduzioni. Considerarle spese necessarie alla fine della produzione del reddito e come tali detraibili, significherebbe semplicemente avvicinare il trattamento fiscale dei redditi da lavoro dipendente a quello da lavoro autonomo. Ma il governo va invece nella direzione diametralmente opposta…

 

Ma c’è anche un’altra considerazione da fare: in un paese nel quale la piaga dell’evasione è stimata in circa 120 miliardi annui, intervenire sulle detrazioni/deduzioni significa rendere ancor “meno conveniente” il recupero di alcune spese in dichiarazione. Cioè disincentivare quel meccanismo virtuoso che porterebbe soggetti direttamente interessati (poiché appunto potenzialmente fruitori delle detrazioni) a far emergere una parte di imponibile che sfugge ai controlli fiscali.

 

Possibile che queste considerazioni, quasi banali, sfuggano ai teorici del rigore a senso unico, ossessionati soltanto dall’esigenza di fare cassa sulla pelle dei ceti meno abbienti? O il sistema tributario che hanno in mente Monti e company prevede che d'ora in poi gli unici a pagare le tasse ed in misura sempre maggiore saranno sempre soltanto i lavoratori dipendenti?