TFR: ASSEMBLEA DIBATTITO CITTADINO ORGANIZZATO DAL SINDACATO RDB-CUB SUL TEMA "IL TFR NEI FONDI PENSIONE -UN'OPPORTUNITA' O UNA TRAPPOLA?"
(CRONACAONLINE) – CAGLIARI -
Il 16 maggio 2007 si è tenuta a Cagliari, nei locali del Dopolavoro Ferroviario, una assemblea-dibattito cittadina indetta dall’Organizzazione Sindacale RdB-CUB sul tema:
“Il TFR nei fondi pensione – Un’opportunità o una trappola?”
Davanti ad una platea numerosa ed attenta gli oratori Enrico Rubiu, Paolo Alfonso Sanna e Gian Franco Onnis hanno affrontato le tematiche relative all'opportunità o meno del conferimento, da parte dei lavoratori dipendenti del settore privato, del Trattamento di Fine Rapporto ai fondi pensione, contrapposta alla possibilità di mantenere lo stesso TFR legato alla normativa fin qui applicata.
Dalle relazioni e dal successivo dibattito si è arrivati a stabilire sulla materia alcuni punti fermi, che sono risultati essere: Sulla materia, sia per parte governativa che per parte di tutto il sindacalismo confederale (CGIL CISL UIL), si sta assistendo ad una campagna non di informazione bensì di propaganda, che evidenzia solo i lati positivi del conferimento del TFR ai fondi pensione e nel contempo trascura, in maniera totale e perciò colpevole, qualsiasi accenno ai tanti lati negativi.
Questo è il risultato del vistoso conflitto d'interessi che sul tema sta unendo alle società finanziarie i sindacati confederali, ormai preoccupati più del proprio tornaconto (saranno infatti cogestori dei fondi) che della difesa degli interessi dei lavoratori.
La scelta di operare tramite il metodo del silenzio-assenso è una riprova di quanto sopra, in quanto destinata a trasformare in scelta, e in maniera coatta, lo stato di confusione dei lavoratori meno attenti o meno attrezzati a comprendere la reale differenza tra le due opzioni, e quindi per questo motivo più deboli rispetto ai lavoratori più consapevoli.
La fruizione della pensione complementare che verrà erogata in caso di conferimento del TFR ai fondi pensione presenterà notevoli punti negativi, come ad esempio: disparità di trattamento fra uomini e donne;
reversibilità del trattamento agli eredi solo in caso di comunicazione preventiva e che comunque prevede un malus sulla cifra erogata; valore della prestazione mensile calcolato prevedendo una durata della vita media notevolmente superiore a quella media italiana, significando in pratica che una percentuale elevata del TFR trasformato in pensione integrativa non verrà riscossa essendo semplicemente deceduto il beneficiario.
Mentre il rendimento del TFR è sicuro e stabile (1,5 % annuo più il 75 % del tasso d'inflazione programmata), il rendimento dei fondi pensione sarà strettamente legato alle fluttuazioni della borsa e non solo non garantirà nessuna rendita sicura, ma dovrà anche essere decurtato delle elevate spese di gestione del fondo (personale, beni mobili ed immobili, consiglio di amministrazione, compravendita titoli, ecc.).
Mentre il TFR, in caso di fallimento dell’azienda, è garantito al lavoratore da un apposito fondo di garanzia, lo stesso non si può dire dei fondi pensione, che quindi in caso di investimenti a rischio medio-alto hanno una buona possibilità di compromettere non solo le rendite ma lo stesso capitale (il TFR) versato.
Gli investimenti a rischio medio-alto, pur permettendo rendite buone sul periodo breve e medio sono soggette sul lungo periodo ai ciclici crolli della borsa.
Le eventuali rendite da pensione integrativa sono soggette a tassazione come rendite da capitale, mentre così non è per le rendite pensionistiche.
Il ricorso da parte governativa alla scelta di destinare il TFR alla previdenza integrativa viene giustificato dalla previsione di un collasso del sistema previdenziale italiano, che ha avuto come conseguenza la necessità di una modifica strutturale del sistema pensionistico (operazione avviata nel 1995 con la legge Dini) da cui è derivato un progressivo e drastico ridimensionamento dell’importo delle pensioni. Si sta quindi progressivamente passando da pensioni ammontanti a circa l’80 % dell’ultima busta paga a pensioni che verosimilmente ammonteranno ad una percentuale vicina al 40 % dell’ultima busta paga. In realtà gli assunti del collasso del sistema previdenziale e quindi della asserita necessità di erogare pensioni di importi così bassi sono errati, in quanto:
il bilancio dell’INPS, per quanto riguarda esclusivamente la previdenza, è sempre stato largamente in attivo. Il bilancio dell’INPS è falsato dal fatto che vengano inserite voci come le pensioni di invalidità civile, l’integrazione al minimo delle pensioni e le pensioni sociali mentre nel contempo vengano a mancare importi, per sgravi alle imprese, importi di contributi ridotti per vari motivi, condoni previdenziali, cessioni di crediti. Tutte cose che dovrebbero correttamente pesare, sotto le voci assistenza pubblica e sostegno alle imprese, sulla fiscalità generale dello Stato e non certo solo ed esclusivamente sul fondo lavoratori dipendenti (che è quello gestito dall’INPS);
una pensione basata sul 40% del valore dell’ultima busta paga erogata a partire dei 65 anni di età (cioè con la riforma delle pensioni completamente a regime) significherà che solo una minima parte dei lavoratori rientrerà in possesso dell’intera somma versata come contributi durante la propria vita lavorativa;
da dati ufficiali ISTAT risulta come negli ultimi anni stia costantemente diminuendo il tasso pensionati / lavoratori, passando da 77su 100 dell’anno 2000 a 70 su 100 dell’anno 2006.
La via più sicura per garantire ai lavoratori il diritto ad una pensione dignitosa passa quindi attraverso un forte rilancio della Previdenza Pubblica, slegata sia da fini di lucro che da quegli obblighi di natura assistenziale e/o strategica che devono essere di competenza dello Stato e non della Previdenza Pubblica stessa.
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