ULTIMO RAPPORTO OCSE SULLA SCUOLA: ITALIA AL PENULTIMO POSTO PER LA SPESA

E ORA CI SONO ULTERIORI TAGLI

Cagliari -

 

 

Il governo Monti non demorde, forte dell’appoggio di quasi tutti i partiti politici presenti in Parlamento e della non opposizione dei sindacati complici, continua nella sua opera di demolizione di posti di lavoro. Dopo l’innalzamento dell’età pensionabile, con la logica consequenza del blocco del turn over ovvero della impossibilità per i giovani ad accedere al mondo del lavoro, dopo la pratica soppressione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori che fa sì che il posto di lavoro divenga  sempre più un optional che il datore di lavoro può disdire a suo piacimento dopo tutto questo ecco la nuova trovata! Si vuole innalzare l’orario degli insegnanti delle medie e superiori da 18 a 24 ore! E noi che proprio sciocchi non vogliamo essere possiamo già prefigurare uno scenario dove i sindacati di categoria faranno fuoco e fiamme al fine di cantare dopo vittoria per aver ridotto il danno per aver fatto sì che l’orario non venga innalzato di 6 ma di “sole” 3 o 4 ore!  

 

Sei ore in più a settimana significa uniformare l’orario a quello degli insegnanti delle elementari, che già lavorano 24 ore, di cui 22 in aula e 2 di programmazione.

 

Sarebbe un carico maggiore esclusivamente a titolo gratuito, che consentirebbe di utilizzare il personale docente interno per coprire le supplenze brevi e soprattutto soprattutto  i cosiddetti «spezzoni», che sono quelle ore di attività didattica che rimangono scoperte dopo aver completato l'assegnazione di ogni singolo docente alle classi per le ore previste dai programmi ministeriali. 

  

Se questa sciagurata ipotesi si realizzasse significherebbe il licenziamento di fatto di 30.000 insegnanti precari (si prevede di fatto un taglio di circa 25 mila posti più 4 mila che riguarderebbero gli insegnanti di sostegno). Altro che i 6.000 inizialmente preventivati che sono le cifre che il ministero fa girare: (su che basi? Con quali calcoli? Forse col preventivato accordo dei sindacati compiacenti?)

 

La matematica non è un’opinione: i docenti interessati sono circa 170 mila della scuola media e 238 mila delle superiori, considerando oltre ai docenti titolari anche gli incaricati annuali, si arriva ad un totale di oltre 400 mila docenti, che svolgeranno più di 2.400.000 ore a settimana.

E’ chiaro quindi che 30.000 posti di lavoro tagliati è una sottostima: con la soppressione di “spezzoni”, la manovra riguarderà in primo luogo e, come primo passo, gli insegnanti precari, che sono l’anello più debole della catena e da lì si parte; ma altri ne potrebbero arrivare, e arriveranno se non si riesce a contrastare la scellerata politica dei tagli e del divide et impera praticata da questo governo in linea con quelli che lo hanno preceduto, se, gli insegnanti precari e “di ruolo” non riusciranno a far fronte comune.

Evidentemente non  sono bastati gli otto miliardi della legge 133/2008 e i continui interventi legislativi messi in atto, non è sufficiente il blocco dei contratti, il blocco degli scatti di anzianità e la cancellazione per legge della indennità di vacanza contrattuale: si vuole la cancellazione del servizio pubblico.

 Tutto questo mentre l'istantanea scattata dall'Ocse alla scuola e all'università italiane, nell'ambito del rapporto annuale Education at a Glance 2012 denota uno sconfortante penultimo posto nella classifica della spesa pubblica per l'istruzione tra i paesi sviluppati, un aumento dei costi a carico delle famiglie (nel 1995 era finanziato dallo stato l’82.9% dei costi, nel 2009 la percentuale di aiuto pubblico era scesa al 68.6%), e risulta uno dei paesi sviluppati con livelli di scolarizzazione più bassa.

Il sistema di istruzione italiano si conferma relativamente sottofinanziato.

Nel 2009 l’Italia impiegava nell’istruzione circa il 9% della spesa pubblica, dato peraltro in costante discesa nell’ultimo decennio: tra i paesi esaminati solo il Giappone stava peggio.

Purtroppo e uno sguardo aggiornato agli anni più recenti peggiora il quadro, visto che il Rendiconto generale dello stato registra, dal 2008 al 2011, una riduzione di spesa di circa il 5% per la scuola, del 10,5% per l'università e del 14,7% per la ricerca (dati estrapolati dal rapporto Giarda presentato nell'ambito della spending review – pag.28).

E non possiamo dimenticare che queste cifre, queste percentuali, si riferiscono al dato nazionale, e non è difficile immaginare se disaggregassimo questi dati per aree geografiche che il Sud e le Isole risulterebbero ulteriormente penalizzate vista la bassa capacità di spesa che queste regioni dimostrano nell’investire in ricerca, innovazione e istruzione facendo sì che si allarghi sempre più la forbice fra le aree geografiche della Penisola.

 

Crediamo che la scelta del governo tecnico, che sulla scia dei precedenti governi politici, lavora di accetta sulla scuola e non investe sul futuro dei nostri ragazzi, debba essere contrastata.

 

Spetta a noi, agli studenti, alla società civile, ai lavoratori della scuola, del pubblico impiego e di tutto il mondo del lavoro dare una risposta di lotta che si esprima decisamente contro la restrizione del servizio scuola, contro l'aumento dello sfruttamento per chi vi lavora e la gestione della precarietà e della flessibilità del lavoro.

Più tagli significano unicamente più ragli: è questo il futuro che vogliono per i nostri giovani per poterli gestire come vogliono?