Analisi USB dell'Accordo Quadro Giunta Regionale Sardegna - Cgil Cisl Uil sui temi dello sviluppo e del lavoro, firmato il 4 Giugno 2010 a Cagliari.

In allegato l'Accordo Quadro Giunta Regionale - Cgil Cisl Uil sui temi dello sviluppo e del lavoro.

Cagliari -

E’ normale che l’Unione Sindacale di Base (USB) debba occuparsi delle politiche regionali che riguardano il lavoro, la disoccupazione, lo sviluppo, l’agricoltura, il turismo, la pesca, l’industria, la previdenza, le pensioni, la salute e tutto quanto possa interessare le politiche del lavoro e della crescita economica, per portare fuori dalla precarietà e dalla disoccupazione larghi e crescenti strati della popolazione regionale.

Per questo abbiamo analizzato e studiato il documento relativo all’accordo che reca il nome di

Accordo Quadro Giunta Regionale - Cgil Cisl Uil sui temi dello sviluppo e del lavoro, firmato il 4 giugno 2010, documento scaturito a seguito della mobilitazione per lo sviluppo della Sardegna promosso dai confederali.

Abbiamo studiato il documento con attenzione, e ve lo proponiamo in allegato, perché crediamo che i quadri del nostro sindacato ma anche chi opera nel mondo del lavoro, debba conoscere le politiche regionali sul lavoro e sui progetti di sviluppo, sempre che esistano.

 

Nel preambolo si rappresenta che ”le organizzazioni sindacali si sono rese portatrici di proposte, largamente condivise sui temi del lavoro, dello sviluppo, della coesione sociale e territoriale, delle riforme e sul federalismo, anche con iniziative specifiche e di confronto con la Regione, il Governo e l’Unione Europea.”

Ma una lettura attenta denota il vuoto di contenuti della proposta, perché non esiste una analisi corretta sulla realtà Sardegna.

Il documento riprende a più voci e più volte il tema dell’insularità, cosa scontata per noi tutti, che non necessità di un accordo di programma per essere attuato e trovare nelle istituzioni a vario livello le modalità di ricezione di tale cosa.

Il documento si sofferma sulla necessità di un nuovo piano di sviluppo regionale, ma non indica per nulla quali debbano essere le strategie da trovare per attuare la nuova strada che sia da volano per lo sviluppo e la crescita. Paradossale è l’affermazione che è necessario cercare di spendere subito le risorse (accelerazione della spesa), quando nulla si analizza sulla qualità della spesa, quella qualità che può permettere di creare un modello sardo di sviluppo, che tenga conto delle peculiarità dei territori, delle colture, delle esigenze del mondo dell’allevamento, delle aziende agricole, del mondo della pesca, delle risorse rinnovabili del nostro territorio.

Quella spesa che può fare da volano, quella spesa che può fare da effetto moltiplicatore per l’economia e farla crescere non viene individuata, ma sembra che si cerchi di fare di tutto semplicemente aumentando i centri di spesa sperando così di trovare la soluzione. Il contrario di quello che fà un chirurgo, che sa come usare il bisturi, e il contrario di quello che fà un agricoltore, che sa che prodotto dare alla pianta al momento giusto (c’è differenza se si danno 50 milioni di euro ad un call-center che dopo due mesi chiude facendo sparire quei soldi, o se quei soldi vengono dati a progetti di sviluppo del lavoro che restano nel territorio, che vengono spesi nel territorio facendo camminare l’economia).

Nulla si dice della necessità di preservare i territori dalla devastazione cementizia e dall’inquinamento, come sulla necessità di salvaguardare le coste marittime dallo sfruttamento e dalla distruzione, per sempre, di quella bellezza e unica limpidezza delle acque, che è ricchezza e risorsa pura non rinnovabile.

Nulla si dice dello sviluppo di quei territori che possono costituire elemento di traino per la rinascita della Sardegna perché avviano un percorso virtuoso che faccia crescere imprese tenendo conto delle peculiarità del territorio e ne salvaguardino tutte le ricchezze naturali e la loro peculiarità.

Basta pensare a normative che favoriscano l’agriturismo, a normative ed incentivi che favoriscano la Green Economy, che permetterebbe la crescita e la nascita di decine di migliaia di posti di lavoro in Sardegna.

Ma su questo la Giunta Cappellacci va al traino del Governo nazionale, che spinge sul nucleare, con la probabile individuazione di un sito di insediamento nucleare nel centro Sardegna.

Appare sconcertante che nel documento non si trovi traccia di progetti di crescita improntati su nuovi modelli di sviluppo. Si parla di trovare soluzioni per le industrie energivore, ma non di una politica che permetta di creare in loco quella energia necessaria alle industrie, quella energia che in Sardegna costa il 74% in più rispetto alle industrie che operano nel territorio non insulare.  

Nulla viene detto di uno sviluppo di un turismo permanente, che esista lungo tutto  l’arco dell’anno, caratterizzato dall’attrattiva dovuta alla genuinità dell’ambiente e dalla valorizzazione di tradizioni locali.

Nell’intero documento non si trovano riferimenti alla valorizzazione delle tradizioni locali: non sono previsti finanziamenti per le molte iniziative che possono portare crescita e danaro, legate alla pubblicizzazione nel mondo dell’immagine della Sardegna, che possano attrarre turismo, anche per vedere le nostre ricchezze culturali e le nostre meravigliose tradizioni (ad esempio la festa di San Efisio, la cavalcata Sarda, l’Ardia di Sedilo; la tutela di beni ambientali riconosciuti a livello mondiale, come Tuvixeddu, ecc..).

Non sono previsti finanziamenti per promuovere l’immagine della Sardegna nel mondo.

Il documento è estremamente generico, afferma che ”gli effetti negativi della crisi economica e sociale stanno determinando in Sardegna un progressivo incremento delle difficoltà del sistema produttivo, un aumento della disoccupazione e conseguentemente delle povertà”, ma poi non riesce a scendere nel dettaglio; si evidenzia a più tratti che esiste la crisi e che vi è la necessità di uscirne, e di creare lavoro, sviluppo e ricchezza. Il percorso per arrivare a questo obiettivo? La creazione di tavoli tecnici (tre): il primo riguardante i temi di una nuova strategia di politica industriale, che ricomprenda anche il sistema delle priorità per il principale strumento di agevolazione alle imprese, le soluzioni strutturali per le imprese energivore della Sardegna, il patto di governance sui piani attuativi delle bonifiche e della riconversione dei siti industriali e minerari dismessi e la revisione del credito d'imposta; il secondo riguardante i temi della scuola, della formazione professionale, delle politiche attive per il lavoro e del programma pluriennale per il lavoro giovanile; il terzo da dedicare alla riforma della Regione ed al federalismo interno, all'esame ed al superamento del precariato in Regione e negli Enti interessati da processi di riordino o di riforma, nonché alla riforma del servizio sanitario regionale. Tavoli che pongono ancora più nella forma che nella sostanza la soluzione dei problemi. E viene riproposta come ulteriore soluzione la continuazione della concertazione tra Regione e sindacati, dopo che l’effetto di tali politiche industriali perseguite per 20 anni hanno prodotto salari bassi, lavoro precario e disoccupazione.

Nulla si dice nel documento della necessità di favorire la lotta all’evasione fiscale, per recuperare risorse per non far pagare la crisi ai lavoratori, ai disoccupati, ai giovani, alle donne, ai precari, ai pensionati.

Non si trovano soluzioni per combattere la disoccupazione giovanile, che dalla media nazionale del 28,5% raggiunge punte del 40-50% in alcuni territori sardi; nulla si dice dell’aiuto alle famiglie in difficoltà, del sostegno ai pensionati che vivono a grande maggioranza  con pensioni al di sotto dei 500 euro, mentre una parte se la passa un pò meglio con pensioni al di sotto dei 1000 euro.

Nulla si dice della difesa dei piccoli ospedali; quei posti letto sono necessari, perché la Sardegna è particolare. Un ospedale a 100 km può significare un’ora e mezza di macchina.

E nulla si dice della difesa dell’esistente. La politica nazionale taglia, e qui si fà finta di non vedere.

Neppure crediamo che “la creazione di un’Agenzia in house per il reimpiego, l’autoimpiego e lo scouting, valorizzando in primo luogo le professionalità provenienti dall’acquisizione e superamento di INSAR, Sviluppo Italia Sardegna e, eventualmente, il BIC Sardegna” sia la soluzione alla povertà che devasta il territorio, visto che troppo spesso le società in house sono state modello di sfruttamento e di creazione di lavoro in condizioni di schiavitù utilizzato dal modello sindacale, spostando l’assunzione dei lavoratori alla società in house, di cui è socio unico l’ente locale, impedendo di fatto nel corso del tempo la pretesa di stabilizzazione del lavoro precario.

Il documento contiene di tutto, anche cose che poco hanno a che vedere con un tavolo sindacale, ma riguardano solo il mondo delle buone intenzioni.

Le buone intenzioni di riformare gli assessorati, la necessità di riscrivere lo Statuto Speciale Sardo, la necessità di dialogare con le istituzioni europee, di assumere impegni, di  chiedere al Governo nazionale maggiori impegni di spesa. Ma nel momento in cui il Governo costruisce una manovra che taglia di 10 miliardi i trasferimenti alle Regioni e 2 miliardi agli enti  locali, che si ripercuoterà pesantemente sui servizi erogati e sulle condizioni di lavoro del 1.500.000 dipendenti di sanità ed enti locali, è evidente che questo accordo è scisso dalla realtà, e si trasformerà in un nulla di fatto.

La firma di tale documento è solo una passerella dei politici e dei sindacati per stare sotto i riflettori e per far veder che qualcosa stanno facendo. Ma di fatto stanno vendendo fumo: il richiamo a norme già esistenti ed alla necessità di programmi straordinari, nuove rimodulazioni, revisioni e rivisitazioni di accordi precedenti sono solo parole di programma, che non potranno risolvere i grossi problemi che lacerano i nostri territori (“un programma straordinario pluriennale per il lavoro e per la valorizzazione e lo sviluppo delle risorse umane, a partire dal lavoro giovanile con l’immediata attuazione di quanto già previsto dalla legge finanziaria 2009 (art. 4, legge regionale 14 maggio 2009, n. 1), con una conseguente rimodulazione delle misure del FSE 2007-2013 e con interventi da inserire nella manovra di assestamento alla Finanziaria 2010 e nella prossima Finanziaria 2011; nella ridefinizione del ruolo e delle competenze dell'Agenzia del Lavoro; nella rivisitazione del programma Master & Back, ai fini di un maggior raccordo con il sistema produttivo; nella revisione del sistema del credito d'imposta regionale, dando assoluta priorità alla creazione di occupazione aggiuntiva e alle stabilizzazioni dei contratti a tempo determinato, anche attraverso priorità annuali da concordare con le parti economiche e sociali).

Il diritto allo studio per le classi meno abbienti è solo una scatola vuota. Nel corso di tre anni hanno perso il lavoro nella scuola, in Sardegna, nel silenzio assoluto della giunta regionale, 5.000 lavoratori della scuola, ed altre 2.000 lo perderanno nel corso dell’anno scolastico 2010-2011.  Con una perdita della qualità della scolarizzazione per i figli dei ceti meno abbienti.

Il documento firmato è pieno di retorica, si scelgono parole vuote, prive di senso quali “con riferimento alla riforma del DIRITTO ALLO STUDIO, DELL'ISTRUZIONE E DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE, si condivide che la materia in argomento rappresenti una rilevante priorità che presuppone una tempistica attuativa certa che tenga conto dei seguenti ambiti d'intervento: l'approvazione condivisa di un disegno di legge-quadro regionale su istruzione e formazione professionale, peraltro già oggetto di discussione con le parti sociali”.

Del diritto allo studio abbiamo detto. La formazione è evidentemente un ambito che interessa molto le OO.SS., in quanto appannaggio loro, essendo fonte di molti trasferimenti di risorse dalla Regione, risorse che permettono di mantenere un sistema di clientele sulla formazione, il cui ultimo obiettivo ultimo è quello di fare formazione, non quello di creare cultura per trovare lavoro e costruirsi  in una nuova attività lavorativa.

Diviene immediatamente operativo l'Osservatorio regionale sulle povertà, istituito con la legge regionale 1/09. Osservatorio, che servirà a creare un nuovo centro di potere e di maneggio di danaro pubblico, ma non troverà soluzioni ai problemi della povera gente.

L’unica nota positiva del documento è che la “Regione si impegna altresì ad avviare un ampio confronto con le parti sociali per la verifica di efficacia ed eventuale integrazione/modifica delle misure riguardanti il microcredito in favore delle fasce deboli (reso operativo nel corso del mese di maggio) ed il fondo di garanzia etica (per il quale sono state già espletate le gare e si è in attesa del risultato delle stesse)”.  Anche qui, in ogni caso, siano comunque sempre nella fase dell’impegno…

Nulla troviamo nell’ambito del documento sulla politica delle acque. Non vi è sviluppo sostenibile se le aziende agricole non hanno accesso ad acqua pubblica sufficiente ed ad un prezzo equo per poter portar avanti le colture.

Nell’accordo regionale non si parla di sostegno all’agricoltura a chilometri zero, che non inquini e non produca anidride carbonica nel corso del trasporto (che sia compatibile con l’ambiente).

Non troviamo  nulla sull’accesso al credito da parte delle aziende in crisi. Ne un tavolo con le banche che preveda la concessione a bassi interessi di risorse ad aziende sarde.

Vogliamo qui ricordare che la Commissione europea ha presentato la strategia Europa 2020 per uscire dalla crisi e preparare l’economia dell’UE ad affrontare le sfide del prossimo decennio.

La Commissione ha individuato tre motori di crescita, da mettere in atto mediante azioni concrete a livello europeo e nazionale: crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale), crescita sostenibile (rendendo la nostra produzione più efficiente sotto il profilo dell’uso delle risorse, rilanciando nel contempo la nostra competitività) e crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà).

I progressi verso la realizzazione di questi obiettivi saranno valutati sulla base di cinque traguardi principali rappresentativi a livello di UE, che gli Stati membri saranno invitati a tradurre in obiettivi nazionali definiti in funzione delle rispettive situazioni di partenza:

-       il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;

-       il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in ricerca e sviluppo;

-       i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti;

-       il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; .

-       20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà.

Questi obiettivi non trovano un percorso per la loro realizzazione nel documento regionale, ne momenti di verifica. Di tutto questo nel documento regionale non vi è traccia.

Ma il documento che ne esce fuori sembra un pot-pourri dei vari Fes, Fesr, Por e Fas che sono documenti dai quali le Regioni attingono le risorse. Ma anche questo copia e incolla è stato utilizzato male.

L’obiettivo globale del Programma operativo Fesr (Fondo europeo per lo sviluppo regionale), adottato con Decisione della Commissione europea C (2007) 4249 del 7 settembre 2007, è quello di “innalzare e stabilizzare il tasso di crescita medio dell’economia regionale, attraverso il rafforzamento dei fattori di attrattività di contesto e della competitività di sistema delle attività produttive, in un quadro di sostenibilità ambientale e territoriale e di coesione sociale”.

Il Programma prevede sette priorità di intervento: “Reti e collegamenti per la mobilità”; ”Uso efficiente delle risorse naturali”; “Valorizzazione delle identità culturali e delle risorse paesaggistico-ambientali per l’attrattività e lo sviluppo”; “Diffusione della ricerca, dell’innovazione e della società dell’informazione”; “Sviluppo imprenditoriale e competitività dei sistemi produttivi locali”; “Sviluppo urbano sostenibile”; “Governance, capacità istituzionali e assistenza tecnica”. Anche di queste priorità non troviamo traccia nell’accordo, a parte la governante che viene ribadita a più riprese Anche i POR (Programmi Operativi Regionali) relativi ai fondi FESR (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) e FES (Fondo Sociale Europeo) sono i documenti attraverso i quali vengono programmate le risorse comunitarie per il periodo 2007-2013.

Il periodo 2007-2013 ha introdotto una nuova logica di programmazione: il ciclo unico, che prevede un allineamento temporale tra la programmazione nazionale, comunitaria e regionale.

Si crea così uno scenario di maggiori certezze in cui la Regione può programmare tutte le risorse disponibili, indipendentemente dalla fonte di finanziamento, nel lungo periodo e realizzare strategie, programmi e interventi coordinati e integrati tra loro.

Siamo a oltre metà del ciclo (a giugno del 2010 sono trascorsi 3 anni e mezzo), se i risultati, che sono sotto gli occhi di tutti sono questi, in termini occupazionali, di crescita, di sostegno all’economia, possiamo dire che la politica regionale ha fallito in pieno gli obiettivi che si era data.

Nell’accordo sottoscritto a livello regionale si fa riferimento anche al Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas), strumento attraverso il quale il Governo finanzia la propria politica regionale per il riequilibrio economico e sociale fra le diverse aree del Paese, che concorre al finanziamento di programmi di interesse strategico nazionale, regionale e interregionale. Il Fas finanzia anche i due progetti strategici speciali in materia di sanità e di bonifica dei siti inquinati. Ma anche qui troviamo grosse carenze, non essendo previsto un intervento a La Maddalena, ex base militare, dove da tempo si parla di presenza nel territorio di radionuclidi, e al Salto del Quirra (usato, però, non solo dalle forze armate ma dato in affitto alle varie multinazionali delle armi, che lo usano come palestra per fare esperimenti, test, collaudi, come show-room per vendere armi, per far vedere come funzionano bene razzi e missili), dove si parla di nanoparticelle ed altro ancora, località che hanno subito e continuano a subire la peggiore colonizzazione militare della storia italiana.

Ma la realtà dello sviluppo e della crescita in Sardegna incontra varie difficoltà anche di natura politica.

Sono tornati in Sardegna, tramite i fondi FAS, dopo mesi di polemiche e pressing dell’opinione pubblica, parte di quei soldi inizialmente destinati alla realizzazione della quattro corsie tra Sassari e Olbia, la cosiddetta strada della morte, dopo il dirottamento dei fondi. Dal Cipe quella cifra era stata stornata e inserita in un fondo nella disponibilità della presidenza del Consiglio, quando si decise che la location per il vertice del G8 non doveva esser La Maddalena.

Che dire invece di quella volta che i soldi per la Louis Vuitton Trophy sono stati stornati dai fondi per la bonifica delle zone ex minerarie del Sud-Ovest della Sardegna, e la "partita di giro" è disposta dal governatore Ugo Cappellacci, per finanziare la regata velica della Maddalena, prendendo "in prestito" 2 milioni e 300 mila euro dal fondo pluriennale riservato alle opere per il risanamento ambientale del Sulcis. Il Governatore, contemporaneamente presidente della Regione, commissario per il risanamento del Sulcis e commissario per la Louis Vuitton, deve trovare i soldi per la vela e che fa? Li toglie dal Sulcis, ad una zona dove la disoccupazione giunge a livelli altissimi. L'ex Arsenale, abbandonato dopo il G8 mancato, ha così potuto accogliere le barche…

 

Concludiamo la nostra analisi, con un breve commento.

Non capiamo il senso di questo accordo, che nulla apporta sulla scena politica e sindacale in termini di sviluppo, di nuove spese, di nuove risorse, di nuovi obiettivi.

Assistiamo ad una sceneggiata mediatica. La politica regionale trova copertura nella sua azione svolta dall’affiancamento e concertazione con le OO.SS., e viceversa, le OO.SS. conquistano il palcoscenico dei media “facendo vedere che stanno lavorando al problema”,  assieme alla politica, per risolvere i problemi regionali.

Ma riteniamo che da tanto polverone non emerge niente. Siamo certi, e vorremmo sbagliarci volentieri, che gli indicatori economici dello stato di salute regionale non miglioreranno nel corso dei prossimi anni.

Chi pagherà il conto sarà ancora una volta il popolo sardo, che dovrà fare i conti con una classe politica e sindacale incapace di programmare la crescita e lo sviluppo, ma che ha come massima ed unica preoccupazione quella di mantenere i propri privilegi.

 

 

USB Sardegna - RdB Sardegna